Schegge. Pierre Pascal, il poeta francese cantore della terza Roma

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Pierre Pascal a Roma

Al seguito del padre, chimico di fama internazionale, Pierre Pascal ebbe modo di entrare in contattato con realtà fra le più eterogenee. Folgorato dall’Oriente e dai suoi riti, interruppe gli studi da notaio e, dopo aver affinato la sua spiccata inclinazione letteraria alla Sorbonne, approdò all’Istituto di lingue orientali di Parigi. Si avvicinò al contempo alle arti marziali, e intrecciò un fitto scambio epistolare con Yukio Mishima, che rimase subito avvinto da Pascal, unico occidentale a varcare la soglia dell’Accademia Imperiale della “Foresta dei Pennelli”.

L’educazione sentimentale e civile di Pascal fu segnata dalle idee irose e generose di Léon Daudet e di Jacques Bainville. Scrittore, poeta, fine traduttore, maturò convinzioni patriottiche e monarchiche, manifestate apertamente attraverso la militanza, dopo una parentesi con la divisa di ufficiale nella Legione Straniera, nell’Action française. Del fondatore, Charles Maurras, incontrato per la prima volta nel 1927, divenne sostenitore, fedele discepolo e depositario di molti inediti. La stima fu reciproca: Maurras accostò le Elegie romane di Pascal ai Canti civili di Giacomo Leopardi.

Deus ex machina del piano Hoare-Laval del gennaio 1935, si attirò le simpatie di Mussolini, che a tempo debito avrà a ricambiare l’interessamento del francese per le sorti dell’Abissinia. Stretto fu il legame che unì Pascal all’Italia. Già traduttore francese del libro di Mussolini al figlio Bruno, Pascal dedicò un’ode in onore della terza Roma e del Duce “protettore delle messi delle città e delle arti latine”. Di là da ogni retorica encomiastica, Pascal si staccava dai motivi soggetivi, richiamandosi all’austerità del compatriota Hugo e per l’onda senza fine delle immagini a D’Annunzio. Pascal cantava più che l’evento lo spirto degli eventi, la loro sublimazione epica e lirica. Potrebbe stupire che un francese esaltasse una nazione che non fosse la propria: ma “ai Francesi – scrive Pascal – “la storia vieta la gelosia”; e l’Action française costituì una vicenda a parte rispetto ai nazionalismi dell’epoca. Non a caso, per Maurras, punto d’appoggio per restaurare lo Stato monarchico, “ereditario, tradizionale, antiparlamentare e decentralizzato”, avrebbe dovuto essere Roma dopo la Conciliazione.

Profugo da Sigmaringen, tra i collaborazionisti del Governo di Vichy, antigollista (della schiera di quelli che chiamavano De Gaulle, “Carlo Bagno”), Pascal fu condannato in contumacia all’ergastolo. Ripiegò in Italia, dove Mussolini gli offrì l’ospitalità del Vittoriale. Qui Pascal ritrovò l’amico D’Annunzio (che aveva apprezzato i suoi scritti) nelle lettere del poeta alle donne amate; Pascal le raccolse con cura, le catalogò e ne venne fuori un volume imponente e sontuoso accompagnato da una lunga prefazione: Le Livre secret de Gabriele D’Annunzio.

Logo delle Éditions du Cœur Fidèle realizzato da Pascal con Luigi Moretti

Il precipitare tragico degli eventi lo condusse infine a Roma. Qui trovò alloggio presso Palazzo Caetani, che divenne sede delle Éditions du Cœur Fidèle (sorte su una enigmatica Legio Fidelis), che Pascal avrà a dirigere con l’architetto Lugi Moretti. Dai tipi delle edizioni du Cœur Fidèle verrà fuori una intricata foresta di endecasillabi, alessandrini, prose ritmiche, metri di adattamento agli originali: dalle quartine persiane di Omar Khayyam (prima traduzione italiana, accolta con entusiasmo da Mario Praz e dall’orientalista Francesco Gabrieli), a Le Corbeau di Poe (decifrato nelle sue chiavi aritmetiche, geometriche e gematriche), al Livre de Job (illustrato da alcune rare tavole di William Blake e da uno studio di Chesterton, che lesse in anteprima il lavoro di Pascal),  all’Apocalisse di San Giovanni.

Quest’ultima, fra le opere citate, sicuramente la più significativa, è una parafrasi in alessandrini francesi, con sedici xilografie dell’Apocalypsis cum figuris di Albrecht Dürer riprese dai legni originali usati per le stampe del 1498 e 1511. L’opera – racconta Pascal nell’introduzione – nacque per caso, una notte d’aprile del 1946, mentre scandiva ad alta voce alcuni versetti dell’Apocalisse nella versione latina, nel momento in cui il canto di un usignolo si insinuò nel recitativo, svegliando in lui risonanze poetiche. Così ebbe inizio un lavoro monumentale di 2226 alessandrini; non una “versione” né una “traduzione” ma una “traslazione dello spirito profondo dell’originale”, scrisse Giovanni Artieri.

A Roma Pierre Pascal conobbe Julius Evola, del quale fu fedele amico e traduttore per il francese. I due furono accomunati dalla conoscenza di René Guénon (che Pascal aveva incontrato, nel 1928, grazie a Pierre-Noël de la Houssaye) e dalla rivolta contro un mondo in continuo decadimento.

Pascal si spegnerà, in precarie condizioni economiche, e soprattutto in esilio, nel 1990, in quella patria di adozione che avrà a cantare sino alla fine dei suoi giorni: “Roma di sole e di silenzio, Roma sacra e santa, che il galoppo interminabile degli uomini motorizzati, con le sue vibrazioni senza fine, distrugge più sicuramente che la pioggia, al punto di minare le fondamenta di tutto quanto rimane ancora di anacronistico in un mondo, pazzo di cronaca, ma sempre più ignaro del valore del Tempo, il cui termine assoluto non è altro che l’Eternità”.

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Giuseppe Balducci

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