Il caso. Rivedere Monicelli per capire le conseguenze del (fallito) golpe in Turchia

280px-Vogliamo_i_colonnelliNon sarebbe tempo perso impiegare un paio d’ore di questo fine settimana alla visione di uno dei film più azzeccati di Mario Monicelli interpretato da (al solito straordinario) Ugo Tognazzi. “Vogliamo i colonnelli” è un film del 1973 che oggi si trova a essere estremamente citato, specie sui social, a causa del fallito golpe in Turchia.

È la storia dell’onorevole Beppe Tritoni, deputato dell’estrema destra magistralmente interpretato da Ugo Tognazzi, che allaccia relazioni, riunisce vecchi militari, cuce e scuce il progetto di rivoltare come un calzino l’Italia repubblicana. L’obiettivo è quello di affidare ai suoi camerati “le briglie al Paese, e dico briglie perché questo Paese ha bisogno della briglia, del morso e della frusta!”. Tutto il progetto, dall’inizio alla fine, si rivela una farsa irrimediabile. I militari coinvolti da Tritoni sono dei cialtroni, nella migliore delle ipotesi dei vecchi rimbambiti come il generale Pariglia, proclamatore a ogni funerali dello stesso spento e zoppicante elogio funebre, a cui la cricca dei congiurati affida il compito di annunciare alla televisione l’avvenuto cambio di regime. Gli industriali che dovrebbero finanziare l’assalto al potere, grazie all’interessamento del clero arrabbiato rappresentato da un giovane sacerdote esperto d’arti marziali e culto della forza virile, rappresentano un mondo opportunista, approfittatore che si regge su luoghi comuni spiazzanti nella loro doppiezza ignorante, come l’invitata al ricevimento in casa di Ernerio Steiner: “Repubblica presidenziale? Sì, ma con il re”. Ah, alla fine Steiner sarà ministro del governo. Ma non certo di quello golpista, bensì di quello “restauratore”.

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La lezione di Monicelli rimane così attuale perché, alla fine della sgangheratissima Operazione Volpe Nera, la democrazia, imbeccata da un fotografo fallito che passa la notizia dell’imminente attacco a un parlamentare comunista, reagisce “grazie” all’onorevole Di Masi, baffuto e solido che, con un colpo al cerchio e uno alla botte, aspetta l’evolversi degli eventi per piazzare il suo, di colpo. Sgominati i congiurati, liquidata l’opposizione che pure aveva denunciato gli imminenti eventi, istituisce un governo di estremo rigore che ripropone – in nome della riacquistata libertà dopo il golpe sventato – tutto il lato peggiore dell’autoritarismo.

 

Il regime (precedente) esce rafforzato da ogni attacco subito e legittimato a fare (quasi) tutto ciò che vuole, compreso mettere uno dei più accaniti palazzinari romani, che diventa “benemerito del litorale laziale” a capo di associazioni ambientaliste.

Pari pari a quanto succede, in queste ore, in Turchia. Erdogan, spodestato per una notte come Di Masi e compagnia, ha avuto la forza di sgominare i militari che volevano prendere il potere. E adesso, rimpicciolito com’era sul piano internazionale dagli incidenti tra Russia e Vicino Oriente, torna ad ottenere legittimazione che gli servirà per tirare di nuovo a lucido il suo di potere.

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Giovanni Vasso

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