Insomma. Se oggi c’è un artista, che gode di una visibilità intensa in Italia, quello è Mimmo Palladino. E se c’è un creatore di linguaggi, punto di riferimento per una cultura non conformista, bene, quel creatore è Mimmo Paladino. E tale conclusione sia consentita per ritrovare affinità artistiche o per rammentare la rilevanza di una cultura che tiene insieme Stefano Zecchi, Giuseppe Conte e Mimmo Paladino. Abbiamo pure negli occhi il recente libro di versi di Giuseppe Conte (‘Poesie 1983 – 2015’, Mondadori) con la copertina ideata proprio da Paladino, un’immagine infiammata con i mitici profili di uomini antichi che ripetono espressioni simboliche, orgogli, passioni mai morte.
Dopo aver visitato le mostre milanesi della Galleria Christian Stein, curate da Edoardo Cicelyn, non si dimentica facilmente il cavallo in bronzo, teso sul pavimento, che non cavalca più con gli uomini ma sembra attendere qualcosa. Oggi più che mai, in questa storica espressività totemica, interpretiamo l’attesa e il rumore delle sconfitte, un rumore che leggiamo anche in ‘Apocalisse ventosa’, un’opera in cui il racconto pittorico è un’esplosione che accumula segni esplosi, geometrie, macchie e profili dimenticati.
Da sempre siamo legati al discorso figurativo di Paladino in quanto esso indica un’indipendenza da ogni tipo di statuto artistico. Per lui l’unico paradigma assumibile è quello del passato, nel quale muoversi con il nomadismo della Transavanguardia, ossia con la sua ricerca che, da decenni, continua a raffigurare il mito e la natura. Attraverso queste mostre sul territorio nazionale, il magistero artistico di Mimmo Paladino consegna alle generazioni una forza estetica in cui la forma-arte sopravvive intatta e la sua simbolicità si contrappone tout-court al tempo dell’effimero e della plastica.
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