Cultura. L’arte moderna senza Dio e la «perdita del centro»

DHS8358_771_0Come è accaduto negli altri ambiti della vita, anche nel dominio dell’Arte, e purtroppo anche in quello dell’Arte sacra, ci ritroviamo dinanzi ad una virata in senso individualistico. I grandi nomi dell’architettura, le cosiddette archistar, oppongono la loro «creatività» e il loro gusto, per altro spesso discutibili, ai canoni facenti riferimento alla cosiddetta scienza sacra, ormai irrimediabilmente assenti dal panorama sia dei moderni chierici sia dei moderni costruttori.

Questa tendenza anarchica si esprime nell’antitesi non solo tra arte e religione, ma anche tra arte e politica. È nota l’avversione nutrita dal tipo dell’artista medio della contemporaneità per tutto ciò che è ordine, disciplina, senso dello Stato. Del resto tale sentire è in parte giustificato dal degrado raggiunto dal dominio politico, e dal livellamento verso il basso avutosi tra gli esponenti della classe politica e le gerarchie religiose.

Ogni manifestazione dell’Arte tradizionale, invece, dal teatro, alla musica, alle arti figurative, alla poesia, nacque come Arte sacra e inoltre come espressione propria di un’istituzione sociale, per utilizzare le parole di Nietzsche essa si presenta come un’«unità di stile artistico in tutte le manifestazioni vitali di un popolo». (Friedrich Nietzsche, David Strauss. L’uomo di fede e lo scrittore, 1872). La concezione di un ordine del mondo stabilito dalla volontà divina animava i Maestri d’Opera medievali ad erigere le loro sacre costruzioni, rinnovando il rito della creazione, plasmando i loro edifici secondo le leggi divine con cui il Grande Architetto aveva ordinato il creato. Simili concezioni appaiono custodite in diverse civiltà umane, e non è un caso che chiese romaniche e gotiche, sinagoghe, moschee, templi indù, risultino realizzati con metodi che sembrano racchiudere nelle loro leggi architettoniche i misteri del cosmo.

L’arte sacra

Esempi architettonici fra i più emblematici nonché forme d’Arte sacra fra le più caratteristiche e con forte significato simbolico, sono, ad esempio, lo stūpa buddhista, la qubbah islamica o gli edifici a cupola della nostra antichità e della cristianità, spesso a base quadrata, stanti a rappresentare rispettivamente il Cielo e la Terra. Inutile dire come oggigiorno dalle nostre parti non si costruiscano più simili strutture. Sicché il critico d’arte più noto d’Italia, Vittorio Sgarbi, ha potuto affermare: «Non posso restare in silenzio davanti all’eliminazione dal punto di vista morfologico di elementi costitutivi per quindici secoli degli edifici sacri quali la cupola e la volta. Elementi-simbolo del paradiso». (Vittorio Sgarbi, “Che brutta l’architettura sacra contemporanea” Intervista con il critico d’arte Vittorio Sgarbi, di Giacomo Galeazzi per Vatican Insider, La Stampa).

La situazione è anche peggiore se ci si rivolge al dominio dell’Arte tout court, ormai da tempo preso d’assalto da gente senza scrupoli, il cui unico obbiettivo è il profitto o la notorietà. Una profanazione questa del vero significato dell’Arte – quella vera – che essenzialmente nasce dall’interrelazione dell’uomo con il suo stupore, il suo rispetto e la sua meraviglia verso lo svolgersi misterioso ed ineffabile della vita, con i suoi cicli, le sue misure, la sua armonia. Quanto mai appropriato risulta a tal riguardo il neologismo creato dal critico d’arte Angelo Crespi: “sgunz”, per designare questo tipo di arte modernissima, un neologismo che designa l’insensatezza di un’arte la cui unica regola è la dissacrazione e il nonsense. Conferma questa interpretazione dell’arte moderna quanto candidamente espresso durante un’intervista da Damien Hirst, uno dei più quotati fabbricanti d’arte contemporanei: «È incredibile – ha affermato candidamente – dove si possa arrivare con un 4 in arte, un’immaginazione bacata e una sega elettrica.»

Ne La perdita del centro (1948) Hans Sedlmayr, tra i maggiori storici dell’arte del secolo XX, pose attenzione alla crisi dell’uomo moderno, indicando i fenomeni artistici come sintomi di tale crisi. La «perdita del centro» è appunto la scomparsa di una realtà divina dall’orizzonte umano, che si traduce ipso facto nella perdita di senso della vita umana, sino a propiziare la perdita di ogni percezione conforme a realtà, giustizia ed ordine, in ogni ambito; in altre parole, la rinuncia ai punti di riferimento fondamentali che per secoli avevano sorretto la cultura ed in generale ogni aspetto della società. In queste condizioni l’arte assume spesso i connotati di un’azione sovversiva, che sfiora in taluni casi il demoniaco, essa è letteralmente «cacodemonica», ossia derivante da un’ispirazione maligna, diabolica, infera, discendente. Si prenda ad esempio un’opera come Una settimana di bontà (1934) del surrealista Max Ernst in cui il mostruoso, il macabro, il bizzarro, sono combinati assieme in quello che può essere definito un incubo ad occhi aperti.

NellÎslâm troviamo questo detto del Profeta: «Dio è Bellezza ed Egli ama ciò che è bello». E l’Arte è bella finché ha radice in Dio, nell’Assoluto, da esso traendone vigore e slancio. Quando si distacca dall’Assoluto essa si snatura, decade, non è più creazione ma mera creatività, non di rado animata da contenuti tra i più oscuri e caotici della psiche. Si narra che una volta il pensatore tedesco Oswald Spengler, confidò a un amico medico che l’arte occidentale stava morendo e che la notizia della sua morte sarebbe stata annunciata in un museo allorché un gruppo di visitatori si sarebbe trovata affatto incapace di ogni forma di comprensione dinanzi ai capolavori che gli si paravano innanzi. Per quanto ci riguarda, possiamo certamente dire che l’Arte cessa di essere viva e vitale già dal momento in cui viene relegata nei musei e perde la sua funzionalità. Infatti la vera Arte è creazione artigiana distante sia dall’utilitarietà degli oggetti industriali adoperati in ogni ambito dai moderni, sia dalla afunzionale bellezza museale che riduce l’opera d’arte a mera «curiosità» non avente alcun rapporto con le circostanze quotidiane della vita, né alcuna influenza effettiva su di essa.

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Giovanni Balducci

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