Il commento. Perché premiare chi valorizza gli artisti italiani

Un ambiente della mostra “Imagine, Nuove immagini dell'arte italiana 1960-1969”,

Giacomo Balla, Line of speed
Giacomo Balla, Line of speed

Nostalgia di primavere artistiche. Un ritorno di speranze creative. Siamo alla ricerca di qualcosa che indichi o nuovi linguaggi o nuovi un punti di partenza. In giro c’è solo improvvisazione. Troppi caroselli di mostre ma senza vere novità. In più, la critica è collassata. Non si compromette con giudizi onesti sulle opere. (Ah, le stroncature papiniane!) I giovani artisti non sono più scoperti, gli artisti in carriera non hanno cambiamenti da prospettare. Ridimensionata dallo scontro tra le generazioni, la realtà è una festa barocca.

Ogni tre mesi sembra che venga fuori la mostra dell’anno. Ma, in diverse esposizioni, le opere raccolte sono limitate. Alcune mostre sono le stesse che girano in altre città europee. Eppure il nuovo appare, si può scoprire nella collaborazione tra le istituzioni delle nostre città. Ad esempio, recenti mostre a Milano e a Bologna vedono fondazioni, banche e comuni generare le giuste sinergie per rilanciare il turismo culturale. Una prospettiva allora potrebbe essere  questa: premiare le istituzioni che collaborano, che riscoprono gli artisti italiani, che valorizzano il patrimonio nazionale.

Emerge l’urgenza di comprendere il nostro paese. E la società, che guidò il cambiamento nel secolo scorso, insegna ancora molto. Pensate un attimo alla mostra veneziana, “Imagine. Nuove immagini dell’arte italiana 1960-1969”, presso la Collezione Guggenheim, aperta sino al 16 settembre. Qui troverete la dimostrazione di un mondo creativo italiano che, in pochi anni, seppe essere propositivo e innovatore. In meno di un decennio ebbero un grande successo artisti come Mario Ceroli, Franco Angeli, Mario Schifano, Pino Pascali e altri, cioè quei figli di una cultura dell’impegno – a volte pure contraddittoria… – però chiaro sintomo di una creatività italiana, una creatività che oggi non trova nuove maniere per produrre cultura, per indicare cambiamenti. 

I giovani disoccupati chiedono che le istituzioni impegnino risorse nella cultura del territorio. Domandano laboratori creativi concretamente operosi. Reclamano nuovi strumenti finanziari per avviare imprese culturali. Per altro, il pubblico chiede esperienze artistiche non autoreferenziali. È stanco di esposizioni che sono mere citazioni, sono una post-modernità arrogante detta e ridetta. Pochi giorni fa, durante un evento pubblico in una città pugliese, difronte ad una strana quanto inutile performance, uno studente ha gridato: Ma questa non è arte, è la vuotaggine di qualche assessore! Nell’immediato futuro aspettiamo tante voci come queste. Da tempo, uno scrittore, che rifiuta il declino italiano, ci ha regalato una frase, eccola.

“Sarebbe un sogno. Se i romanzi e i film e i quadri e le poesie e le opere e le canzoni e persino la moda – sì, anche la moda – potessero aiutare tutti a non perdere il lavoro e a non scivolare prima nella depressione e poi nella povertà.”

Lui è Edoardo Nesi.

@barbadilloit

Renato de Robertis

Renato de Robertis su Barbadillo.it

Exit mobile version