L’intervista. Il maestro Carusi tra Europa e musica: “L’anima non può ridursi a moneta”

Carusi durante un'esibizione al Teatro Olimpico di Vicenza (foto Cesare Bellafronte)
Carusi durante un concerto al Teatro Olimpico di Vicenza (foto Cesare Bellafronte)

Nazzareno Carusi è tra i più grandi musicisti di questi anni. Abruzzese, nato nel 1968 a Celano, vive a Ravenna. Pianista di eccelso valore, è stato allievo di una grande insegnante come Lucia Passaglia, e di due giganti quali Alexis Weissenberg e Viktor Merzhanov e ha tenuto concerti in ogni parte del mondo, dalla Scala di Milano fino al Sudamerica. Il suo debutto alla Carnegie Hall (Weill Recital) a New York, nel 2003, fu salutato da America Oggi come “una serata trionfale”. Per il Washington Post “Carusi trasforma la tastiera in un’orchestra di cento elementi“.

Il maestro Paolo Isotta, che non ha bisogno di presentazioni, lo descrive così ne Altri Canti di Marte: “È uno dei musicisti più completi che abbia conosciuti; insieme con Francesco Libetta è anche latinista e grecista”. E altrove aggiunge: “Personalità di rilievo planetario, tanto colta da poter maneggiare ogni materia musicale senza paura e senza limiti di immaginazione”. Il grande direttore Riccardo Muti parla di lui come di “un pianista eccellente e un musicista di altissimo valore”. Dallo scorso anno  gli è stata dedicata una voce nel Catalogo dei Viventi.

 

Da qualche tempo sta portando in scena il “Notturno a Shakespeare” con Pietrangelo Buttafuoco che fonde musica e letteratura. Da dove nasce questo progetto?

Quando Buttafuoco pubblicò “Il dolore pazzo dell’amore” mi fu spontaneo associarne alcune pagine a sonetti shakespeariani e vari capolavori musicali. Certamente è una pazzia. Una pazzia che però nasce dal fatto che le lingue sono suoni e le parole capita, a volte, che abbiano riverberi lontani dal significato che loro è proprio. Ma la musica, che dei suoni è l’arte, ne coglie i nessi a perfezione. Così Shakespeare, Bach, Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin, Satie, Berio, Morricone e Buttafuoco convivono emotivamente, senza intenzioni narrative, solo per assonanze fra parole e note che ne evochino il simile battito del cuore.

 

Cosa rappresenta il Bardo per la cultura europea?

Shakespeare è la cultura europea. Come Dante e Manzoni, Goethe, Cervantes, Baudelaire, Dostojevski e gli infiniti altri non solo letterati. L’Europa delle chiacchiere a Bruxelles dice di saperlo, ma quella dei fatti è ridotta all’euro. E non può ridursi l’anima a moneta.

 

L’Italia sa difendere e valorizzare davvero il suo immenso patrimonio musicale, culturale e artistico?

Saprebbe farlo benissimo. Saprebbe.

 

Da cosa (o magari da chi) bisogna temere i pericoli maggiori per la cultura italiana? E da cosa (o da chi) bisognerebbe partire per rinnovare l’interesse autentico degli italiani nei confronti della loro grande tradizione musicale e artistica?

Dalla scuola. Paradossalmente è oggi il pericolo, il punto di partenza per la rinascita e la speranza: le tre cose insieme. È stata disintegrata da velleitarismi di destra e di sinistra. Ma la bravura degli insegnanti c’è ancora ed è innegabile, così come quella dei ragazzi. Non è che non nascano più menti elette. È che non hanno aria per respirare. La scuola è soffocata dalla superficialità di programmi e di giudizi. È soffocata da riforme che sono state e sono marchette elettorali, capaci solo di una burocrazia insensata e mortificante per tutti.

 

Un mostro sacro della critica musicale come Paolo Isotta l’ha messa, con Libetta, Caramiello e Nicolosi fra i più grandi pianisti viventi…

A Paolo Isotta mi legano un’ammirazione sconfinata da sempre e la fortuna recente di un’amicizia profonda. Sugli altri ha ragione, ma con me è troppo generoso. Senza considerare i padreterni, in Italia ci sono almeno una decina di giovani e poco meno giovani pianisti semplicemente straordinari. Gliene dico due per tutti, rispettivamente con due loro allievi, tanto per dimostrare che maestri e che studenti abbiamo: Benedetto Lupo e Beatrice Rana, Davide Cabassi e Luca Buratto. Ogni loro nota è memorabile.

 

Il più grande musicista italiano di oggi?

Il più grande compositore è Ennio Morricone. Il più grande interprete è Riccardo Muti, non solo italiano e non solo di oggi.

 

Le è mai capitato di cambiare idea?

Sul merito delle cose, difficilmente. Sui modi, sì. Da incendiario che ero, mi ritrovo sempre più spesso pompiere. Sarà l’età.

 

Gli impegni futuri?

In maggio suonerò Scarlatti, Schubert e Liszt al Coliseo di Buenos Aires e all’Istituto italiano di cultura di Strasburgo. Celebrerò Tosti con Fabrizio Bosso e Valentina Cortesi sempre a Buenos Aires, però all’Istituto italiano di cultura, e alla Verdi di Milano. Poi, in estate, sarò anche alla Fenice di Venezia, agli Incontri Asolani, al festival dell’Accademia Pianistica di Imola e al meeting “Le due culture” della Fondazione Biogem di Ariano Irpino. Ma comincerò suonando Schubert al San Carlo di Napoli, sia al pianoforte solo che col Quartetto d’archi del teatro.

 

Lo dice con una gioia particolare…

Perché amo ogni città che conosco. Ma per me che sono di Celano, Napoli è la capitale del cuore.

@barbadilloit

 

Giovanni Vasso

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