L’intervista. Anna K.Valerio: “Perché il romanzo Non ci sono innocenti”

1924127_1666381953627943_5148292149769392256_nAnna K. Valerio, insieme alla sorella Silvia, è autrice del romanzo ‘Non ci sono innocenti’, uscito questa settimana per la collana Il Cavallo alato delle Edizioni di Ar. ‘Non ci sono innocenti’ racconta la storia vera di Freda e Ventura nell’Italia degli ultimi anni Sessanta.

Il romanzo abbatte molti luoghi comuni della storiografia che aspira all’ufficialità, a partire dal cliché della “strategia della tensione”, e racconta come sia stato il gruppo di Freda a tentare di infiltrare lo Stato per rivoltarlo contro se stesso e non viceversa. 

Come è venuta, a te e a tua sorella Silvia, l’idea di un libro di questo genere?

Dopo decenni di imposture andava ristabilita la decenza. Questa storia non la conosceva nessuno ed è invece straordinariamente romanzesca. Tutti quelli che hanno provato a scriverla finora hanno dato sfogo solo ai propri preconcetti – da quelli in salsa psicanalitica, in pieno clima anni ’70, di Camon, alle assurdità semifantascientifiche del film “Romanzo di una strage”. E tutti, meno sapevano, più sproloquiavano. Ricostruendo con pazienza, invece, i climi, le fisionomie, i toni, i sottintesi, penso si possa giungere “nel mezzo di una verità”. Certo, dopo questo romanzo (che trova una spalla valida nello studio, pur viziato da un antifascismo a priori e da conclusioni non sempre felici, di Vladimiro Satta), bisognerà riformulare il racconto della storia del secondo Novecento. O si preferirà far finta di niente?

È proprio tutto vero?

Tutto, per quanto lo permette un romanzo – che deve necessariamente comprimere i tempi, o talvolta dilatarli, e trovare parole verosimili per dire le cose vere. E tuttavia il romanzo onesto è sempre più realistico del saggio, perché ha i mezzi per inquadrare i personaggi, le idee, le intenzioni, le ‘necessità’ storiche in modo molto più accurato.

Quali sono state le tue fonti?

Una sopra tutte: l’amico Giovanni cui il testo è dedicato. Giovanni Ventura.

Ma Freda non aveva mai raccontato nulla di quei fatti nemmeno a sua moglie?

No. Freda non è tipo da sedersi attorno al focolare a rinnovellare il bel tempo andato. Ha troppo da fare. E, soprattutto, non ama i romanzi…

Come hai conosciuto Ventura?

Ci siamo incontrati quando scrivevo il libello “Piazza Fontana: una vendetta ideologica”. 2005. Avevamo entrambi i figli piccoli, nati a distanza di un mese l’uno dall’altro.

Perché Ventura ha raccontato proprio a te tutte queste storie?

Se ha provato la stessa immediata e assoluta simpatia che io ho provato per lui, immagino sia quello il motivo. E il fatto che lui, invece, amasse sia le poesie che i romanzi.

Hai conosciuto, oppure conosci, dal vero altri personaggi che hai inserito nel libro a parte Ventura?

Certo: il Vecchio.

Anna K. Valerio

Perché tu e Silvia non siete arrivate a raccontare fino al dicembre?

Perché del dicembre milanese non sappiamo niente.

Secondo te chi è stato?

Non ne ho idea. È un grande mistero.

Cosa ne pensi delle teorie sulle responsabilità di Piazza Fontana?

Chi non sa taccia. Ma tacendo non si fa parlare di sé, quindi… ecco la fioritura degli sproloqui.

Non condanni l’uso rivoluzionario della violenza?

La violenza è un “rimedio estremo”. Sempre sgradevole, sempre inquietante. Spaventosamente pericoloso. Penso che pochissimi possano permettersi di maneggiarlo secondo giustizia. Ma è inutile che tutti si finga di essere anime belle e si mimi il raccapriccio. Ed è perverso reprimere quest’urlo di Stefan George: “Che cosa sono, per lui (l’uomo ‘differenziato’, potremmo dire) miriadi di assassinii di fronte all’assassinio della vita stessa?” O scansare ipocritamente questo monito d’oltreoceano: “La facoltà di percepire la misteriosa necessità del tremendo perì con il dramma greco e gli altari cristiani.” “La misteriosa necessità del tremendo” va considerata dall’arte – non elusa, perché poi dilaghi nella vita come violenza di tutti i minuti, di tutti contro tutti, e diventi, alla fine, la violenza delle violenze: la violenza suicida. Chiedete a Carlo Michelstaedter, a Majakovskij, ad Antonia Pozzi, a Sylvia Plath, a Luigi Tenco (sì, anche a lui, che è morto proprio nel ‘67) che cos’abbiano pensato loro della violenza quando si sono strappati il cuore con le proprie mani.

Condividi le posizioni politiche di tuo marito?

In me c’è più disincanto, forse meno energia, quindi più elasticità. E una sensibilità di tipo femminile, più morbida, più curva. Ma ammiro la sua perentorietà. Di più: frastornata dai guai dell’Italia di oggi, la invidio.

Perché la scelta di modificare i nomi ai personaggi se non ci sono problemi particolari e se non c’è nulla di irrealistico?

È una distanza… di cortesia.

Qual è l’obiettivo del romanzo?

L’arte sincera vuole sempre cambiare il mondo. E l’artista sincero (con se stesso) sa che invece non accadrà. Più prosaicamente: volevamo seminare qualche germe di verità, di giustizia, di sensatezza. Se i lettori sapranno trattarli con un po’ di riguardo, ci sarà da divertirsi.

È un romanzo ‘di destra’?

Temo di no. È un problema?… Questo è un romanzo che gira le spalle a tutto e a tutti. Fuori da ogni categoria, libero da ogni impiccio. È il romanzo di una spaventosa solitudine – che è quella di tutti, quando ci disconnettiamo. È una discesa agli inferi dove si cade a piombo, né oscillando a destra né a sinistra.

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*Non ci sono innocenti. (Edizioni di Ar 2016, collana Il Cavallo alato, pp. 414, euro 20
isbn 9788898672622. Per informazioni e ordini: info@libreriaar.com / 0825.32239)

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