Esercizi di ammirazione. Carlo Michelstaedter o l’elogio della persuasione

michelDi solito non si odia e non si ammira per categorie. Si cerca l’eccezione, mai la regola. Però una categoria c’è che meriti un riguardo particolare: quella degli scrittori suicidi. Per il coraggio del punto fermo, senza il quale il pensiero va a casaccio. Altri dicono: no, se il coraggio c’è, si continua a vivere. Evidentemente non hanno letto La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter, scritto fatale dei suoi ventidue-ventitré anni. Coraggioso in tutto. Vigoroso in tutto. Vivacissimo nella ribellione a ciò che era ed è “morte nella vita”. “So che faccio cose inopportune e a me non convenienti”: è l’epigrafe scelta dal giovane ebreo goriziano, tratta dall’Elettra di Sofocle.

Dove gli studiosi del passato intrecciano rimandi che rimandano ad altri rimandi, confrontano testi e testi finendo in quelle fantasmagorie di vite parallele che danno gli specchi messi l’uno di fronte all’altro, senza un punto, una conclusione, una sintesi viva, Michelstaedter estrae da ogni parola greca il succo della sapienza. Sono perfide sorbe quelle che mastica, ma sarebbe vigliacchissimo far finta che nell’avventura dell’uomo non si trovino frutti del genere. L’albero della conoscenza non è che una nuvola di “perfide sorbe”. Dice il Greco: “Ottimo è non nascere.” E tanto i giorni pari quanto i giorni dispari dell’esistenza ce lo fanno ripetere. In ogni attimo si teme di veder sbucare l’ombra della “morte nella vita” – e arriva, inesorabile, più spesso fatta di parole non dette, di righe non scritte, di vertigini abortite, che di affronti o aggressioni. Doveva esserci, nel Michelstaedter scrittore, il singulto di delusione della comunicazione che si voleva comunione ed è rimasta solo enunciato.

Aurore. Maraviglia. La persuasione. L’attimo impeccabile, supremo, giusto. E invece ogni cosa tramonta, declina nella rettorica, nella schiavitù del ‘così fan tutti’. Il mondo è di uomini incastrati in una “minore età” mostruosa, incapaci anche del gioco libero e spensierato che fu del tempo-fanciullo di Eraclito.

“Le cornacchie nel loro volo pesante, ad ogni levar d’ala s’abbassano col corpo e non più il corpo leva le ali che le ali non abbassino il corpo, ma il falco nello slancio del suo volo, stabile il corpo, batte equamente le ali, e si leva sicuro verso l’alto.” Ma sulla terra nera è già pronta per lui una sarabanda di pallini.

La scrittura de La persuasione e la rettorica è lavoratissima, le metafore s’innescano l’una con l’altra, rubate alla chimica, alla matematica (le scienze esatte, che ci hanno dato i mezzi tecnici per vivere più lievemente e più a lungo, costrette a segnare quel punto e solo quello: che sarcasmo!), alla tragedia greca, ai lirici, ai presocratici, alla Bibbia. Ma il passaggio più alto è esattamente a metà del testo ed è il cosiddetto “esempio storico”, in cui Michelstaedter si serve delle figure stilizzate di Socrate, di Platone, di Aristotele.

“I discepoli che nulla vedevano s’abbandonavano alla suggestione delle sue visioni. E se la terra di notte s’oscurasse, se le nubi gli togliessero di vedere, se i suoi occhi si stancassero, ma egli nel suo trasporto seguitava pur sempre a narrare cavando dalla memoria le più riposte imagini e, a bizzarre fantasie congiungendole, sé e gli altri nutriva di parole”.

Forse l’intenzione era quella di presentare un Platone imbonitore, ma questo è uno dei casi in cui lo stile si è fatto beffe del messaggio, il come del cosa. L’elegia di un Platone che brancola nel buio dello sconforto e trae da sé il nutrimento – per sé e per gli altri – è un brandello di persuasione. Altrimenti dovremmo chiamare rettorica l’arte di Omero, l’arte di Virgilio, tutta quanta la letteratura più ispirata. Chi ci ha mostrato l’albero delle “perfide sorbe” con una mano con l’altra ci tende l’antidoto. Il canto – o l’incanto.

Il coltissimo Michelstaedter non poteva non avere in mente, mentre disegnava il suo Platone affabulatore, l’Egloga VI di Virgilio, il poetare cosmogonico del Sileno, che quando è costretto a smettere lascia addirittura l’Olimpo amareggiato. Vita superlativa che travolge la morte.

annavalerio@libero.it

@barbadilloit

Anna K. Valerio

Anna K. Valerio su Barbadillo.it

Exit mobile version