Cultura. Diari di Mussolini: su Storia in Rete l’agenda inedita del 1942

Un nuovo diario mussoliniano? Il mensile «Storia In Rete» diretto da Fabio Andriola inizia nel numero in edicola da sabato (n. 116 – giugno 2015) la pubblicazione di alcuni estratti da una presunta agenda personale redatta da Mussolini nel corso del 1942. Il documento, mai emerso fino ad oggi, è di proprietà di un collezionista svizzero che non ha chiesto alcun corrispettivo per la consultazione e la parziale riproduzione di questo diario autografo che rivela un dittatore sfiduciato e depresso, consapevole della fine imminente. Non a caso le ultime parole del diario, scritte la notte del 31 dicembre ’42, sono: «Sotto di me si è aperto il precipizio». Oltre a molte pagine dai toni amari, piene di rimpianto e di preoccupazione per la guerra, ci sono spesso parole dure per il genero Galeazzo Ciano, per il generale Rommel, per il presidente Usa Roosevelt e il premier inglese Churchill. Ma gli sfoghi più numerosi riguardano sicuramente Hitler e le sue scelte militari e politiche.

In un lungo articolo, il mensile «Storia In Rete» ricostruisce le vicende di questa agenda in relazione al celebre caso di falsificazione scoperto a Vercelli nell’agosto 1957 quando due donne, madre e figlia, Rosetta e Amalia Panvini, vennero trovate in possesso di numerosi documenti attribuiti a Mussolini. Le due donne ammisero di aver falsificato a scopo di lucro alcuni diari mussoliniani ma sostennero anche (e questo anche molti anni dopo la conclusione della vicenda giudiziaria) di aver “copiato” da documenti originali consegnati al loro marito e padre, Giulio Panvini, a inizio del 1945 da Paolo Zerbino, allora ministro degli Interni della RSI e uomo di fiducia di Mussolini.

Una possibile conferma alla storia delle Panvini – sostiene «Storia In Rete» – potrebbe arrivare, tra le altre cose, da alcuni indizi ricavabili dalle carte dell’inchiesta e del processo a carico delle due donne, condannate a pene lievi dal Tribunale di Vercelli nel novembre 1960.

• Per prima cosa i Panvini commissionarono ad alcuni tipografi copie di agende dal 1935 al 1943: la grande precisione delle richieste (caratteri, corpo, tipo di carta, impaginazione) fa pensare che ci fosse un documento originale cui si volesse essere il più possibile fedeli.

• In secondo luogo, si è appurato che la riproduzione di ogni agenda aveva costi molto alti anche in virtù delle precise richieste dei Panvini e questo farebbe supporre che non si siano fatte più copie dello stesso Diario anche perché, visto che l’obbiettivo era quello di vendere i documenti a degli editori, non sarebbe stato opportuno vendere a persone diverse copie della stessa annata.

• Inoltre, si è sempre fatta molta confusione sul materiale sequestrato alle donne o rinvenuto presso altre persone a loro collegate: oltre alle agende annuali vere e proprie c’erano numerosi quaderni di appunti (in media due per ogni anno dall’inizio degli anni Venti fino alla metà degli anni Trenta) spesso confusi con altrettante annate di diario e altri documenti sparsi. Benché ritrovati in gran numero presso le Panvini di questi documenti non risulta nessun tentativo di riproduzione e lo stesso Renzo De Felice, a proposito delle carte poi acquistate dalla Mondadori, osservò che a suo giudizio tra di esse potevano esserci anche «materiali realmente autografi».

Ma c’è un elemento aggiuntivo che emerge dall’inchiesta pubblicata sul numero di giugno di «Storia In Rete» ed è forse quello più importante: ed è il raffronto tra alcune pagine del Diario inedito di cui parla la rivista e le corrispondenti pagine di un diario 1942, sicuramente falso, riprodotto dalle Panvini e sfuggito (come gran parte delle copie realizzate) alle ricerche della polizia. La copia apocrifa venne offerta (tramite alcune fotocopie di saggio) in vendita ad un quotidiano inglese nel 1967 che alla fine non comprò nulla ma si tenne in archivio le copie anche in vista di un processo per danni che venne intentato poco dopo. Per la prima volta è stato possibile confrontare le stesse giornate delle due agende e la sorpresa è stata che i testi sono sostanzialmente identici mentre la loro “disposizione sulla pagina” diverge spesso. I falsari (copia emersa nel 1967), incapaci di seguire esattamente la grafia originale (più minuta e serrata) e quindi con più parole da scrivere che spazio a disposizione, spesso hanno “troncato” la copiatura quando finiva la pagina, omettendo quindi intere frasi che invece appaiono nella copia al centro dell’inchiesta di «Storia In Rete».

Visti anche i costi che avevano le agende “riprodotte” su commissione dai tipografi è difficile ipotizzare che dello stesso Diario 1942 siano state fatte più copie mentre, da questo raffronto, prende più consistenza l’idea che effettivamente – come da loro stesse affermato più volte – le Panvini abbiano copiato da un originale capitato in loro possesso. Del resto, in una lettera ad una amica, Amalia Panvini nel settembre 1957 scriveva a proposito dell’ex amante e complice che davanti agli inquirenti aveva scaricato su di lei ogni colpa: «Egli però non dice tutto (…) dal possedere noi una cosa di cui nessun altro può pensare di avere il possesso. Di avere una ricchezza che potrebbe sconvolgere la mente a tanti. Ed io onestamente quando seppi il valore di quel materiale corsi a dirglielo fiduciosa e serena…». Parole che sembrano più quelle di qualcuno che si ritrova, a sorpresa, tra le mani qualcosa di importante piuttosto che le espressioni di chi ha creato freddamente a tavolino, completamente ex novo, un falso.

Nel numero in uscita a fine luglio «Storia In Rete» pubblicherà altri stralci del Diario inedito del 1942 oltre al commento di alcuni esperti.

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