L’outing della Hack non è del resto isolato. Tempo fa, per esempio, Andrea Camilleri – altra personalità portata a spasso dalla sinistra come fosse la Madonna pellegrina – sorprese la platea di giovani con cui stava dialogando con affermazioni di questo tenore: «All’epoca ero molto più libero di voi oggi. L’unica cosa che posso dirvi è di farvi condizionare il meno possibile da una società che finge di darti un massimo di libertà e che in realtà ti sottopone a un massimo di condizionamenti. Potrà sembrare un paradosso ma ai miei tempi, sotto il fascismo, si era molto più liberi di oggi».
Prima ancora era stato l’antifascistissimo Carlo Lizzani, autore di alcune delle più triviali pellicole politiche degli anni ’70, a confessare che «nel fascismo la cultura non subiva tagli, anzi era valorizzata al massimo dal regime anche con risultati a volte davvero straordinari. Basti pensare alla Mostra del Cinema di Venezia e anche all’attuale Centro Sperimentale di Cinematografia. L’equazione fascismo uguale reazione è sbagliata perché fa pensare a un’impossibilità di recupero e invece i processi messi in moto dal fascismo erano anche di modernizzazione. Per noi ragazzi si aprirono le porte di pubblicazioni come Primato, con Bottai e altri gerarchi che offrivano la possibilità ai giovani di scrivere per le principali riviste. Il Centro sperimentale di cinematografia, un’invenzione fascista, proiettava i film sovietici. Ci sentivamo promossi come nessun’altra generazione prima di noi. Le parole d’ordine erano “largo ai giovani” e “la borghesia la seppelliremo”, mentre i nostri padri venivano da società gerontocratiche, bloccate. I Littoriali erano grandi gare giovanili che davano ai diciottenni l’opportunità di viaggiare, uscire di casa, sentirsi autonomi rispetto alla famiglia e ai canoni borghesi».
Hack (classe 1922), Camilleri (1925), Lizzani (1922): tutti diventati “camerati”? Non scherziamo. Non si tratta di arruolamenti ideologici, che del resto non sembrano essere voluti né da una parte né dall’altra. Queste confessioni tardive, semmai, sono utili perché disvelano l’antifascismo per quello che esso realmente è: un pensiero religioso tenuto insieme da conformismo e ricatto. Quando il condizionamento non può più aver presa, il castello ideologico cade. Parliamo di antifascismo, beninteso: non della semplice opinione negativa sul fascismo. Le opinioni si confrontano e si scontrano, fa parte del gioco. Quello a cui ci riferiamo è invece il dogma politico che ruota attorno al concetto di “male assoluto” e che pone paletti invalicabili al confronto, alla libertà di espressione e di pensiero. Salvo, ovviamente, che tu non sia un novantenne di fama internazionale e dal chiaro pedigree di sinistra. Allora puoi permetterti di riconoscere l’ovvio a dispetto delle scomuniche.
Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia, nel senso che i liberi pensieri hanno più valore se vengono espressi quando si rischia qualcosa nel farlo. I nonnetti illustri che all’improvviso si ricordano di non aver vissuto la loro adolescenza in Salò o le 120 giornate di Sodoma fanno simpatia, ma in fondo sono solo dei Bombacci intempestivi. E se lo scarto temporale passa per piazzale Loreto, la tempestività è tutto.