Nell’universo distopico creato dall’autore statunitense, il dispotismo medico opprime la popolazione mondiale con una psicosi salutista, un’ipocondria di massa giuridicamente legittimata. Chiunque non si sottoponga a dettagliati e continui esami medici, chiunque non circoli con la cartella clinica sempre a portata di mano per giustificare il proprio stato di salute viene considerato un anormale, un deviato, un sovversivo: l’unica vera cura, in questo caso, è la “tanatizzazione”, arcaizzante neologismo coniato dall’autore per definire il processo di eliminazione fisica.
In quest’utopia rovesciata, in cui il possesso del bene comunemente considerato massimo -la salute, appunto- o la sua perdita possono diventare motivo di discriminazione e oppressione, c’è anche qualcuno che riesce a vedere la follia che si cela dietro tutto ciò. Un gruppo di “anormali”, come vengono chiamati i dissidenti, cerca di minare la stabilità della Iatrarchia, la versione statunitense -linguisticamente più integralista nel nome in senso greco- della Medarchia. Ciò che lega il manipolo di anormali americani protagonisti del romanzo -che costituiscono una vera e propria, per quanto anomala, famiglia- è l’impulso irrazionale e anti-scientifico per definizione: l’amore. Tensione verso la libertà e la verità in primis, ma anche reciproca philia tra esseri umani che non si piegano alla spietata dittatura della “salute”.
Il romanzo mise in scena in tempi “non sospetti” (uscì per la prima volta su rivista nel 1959 come Caduceus Wild, per poi essere pubblicato postumo, in volume, nel 1978) la follia salutista a cui oggi siamo sempre più soggetti, come racconta l’interessante dossier firmato da Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco: “Il dono (tradito) di Apollo” (p. 276).
Anche se troviamo poco condivisibile la velata critica dell’autore ad alcune manifestazioni della società tradizionale, definite genericamente “primitive” e accostate in modo francamente goffo alla dittatura del romanzo (“Lui diceva che lo Stato medico è un tipo di governo tutt’altro che nuovo. Le tribù primitive, per esempio. Il vero capo era lo sciamano, che dominava con la paura, proprio come […] adesso”, p. 43), punto di vista probabilmente dovuto a quel “metodo storico” che tanto peso ha avuto e ha tuttora parlando di “cultura” in senso lato, riteniamo il romanzo di Ward Moore un lavoro di qualità.
Un valore aggiunto è dato dai due racconti posti in appendice a I prigionieri del caduceo -Lot e La figlia di Lot- che, letti in successione, formano un dittico di buona forza diegetica. La cornice narrativa è quella di un olocausto nucleare, in cui le principali città della terra vengono distrutte da un conflitto totale tra superpotenze. I protagonisti sono i membri di una famiglia in fuga, le cui vite, anche se risparmiate dalla devastazione delle esplosioni, verranno lentamente erose dalla loro stessa inadeguatezza -diversa a seconda dei personaggi e differentemente tratteggiata- a sopportare la novella barbarie che attanaglia tutti i superstiti.
I prigionieri del caduceo è una pubblicazione che si inserisce nella produzione generalmente soddisfacente di Urania spiccando per l’originalità del tema. L’oculata scelta operata dai curatori, che hanno dato spazio ad un autore forse non pienamente “classico” ma ampiamente rappresentativo della sci-fi statunitense, dimostra come anche scrittori ormai appartenenti ad un’altra epoca possano ancora tratteggiare -con lungimiranza doppia- le inquietudini portate dalla modernità. Trasformando, è il caso di dirlo, il veleno in farmaco.
Ward Moore, I prigionieri del Caduceo, Urania Mondadori, Milano 2015, pp. 285, €4,90.