Tv. Chiude (in anticipo) Le Invasioni Barbariche. Perché non ci mancherà

daria bignardi

Lo share (3% e 660.000 spettatori di media in nove puntate) non basta a far rimanere in onda, su LA7, “Le Invasioni Barbariche” di Daria Bignardi. Le interviste della conduttrice, sempre troppo accondiscendente con la gauche caviar, non hanno convinto gli spettatori della televisione di Cairo.

La Bignardi si era difesa così dopo le prime critiche, presagendo un taglio in arrivo per la trasmissione: “Io adesso faccio un programma troppo lungo con tante interviste. Io stessa faccio troppa fatica, sia a prepararmi come vorrei sia a dare tutto quello che vorrei dare”. Al suo posto il mercoledì ci sarà la versione serale de “L’aria che tira”, condotto da Myrta Merlino.

Per realizzare trasmissioni così piene di ospiti di ogni estrazione, nella televisione ideale che sogniamo da tempo, ci vorrebbero conduttori senza pregiudizi, e autori di più aree culturali, non solo di una fazione. L’Italia ha maledettamente bisogno di trasmissioni che non si limitino all’intrattenimento, all’accarezzare le certezze politicamente corrette. Ci vorrebbe uno spazio per rialfabetizzare le nuove generazioni, esortandole a costruire i propri nuovi diritti, una rinnovata consapevolezza del valore della sovranità e della partecipazione nello spazio pubblico, oltre gli inutili hashtag o i clik su facebook.

In questo contesto una “invasione barbarica” in più o in meno, cambia poco. E se ci dispiace che quando chiude una trasmissione vanno a casa anche i lavoratori che ne permettono la messa in onda (dai truccatori ai cameramen che non sono tutti allineati al pensiero unico), auspichiamo la nascita di una tv differente, che racconti tutta la politica italiana ed europea. Non solo la faccia della Luna che piace alla signora Bignardi e al suo salotto di sinistra.

ps Daria viene da una famiglia di fascisti, di gente di destra popolare. Chissà se è mai chiesta se nella casa paterna ci sarebbe stato il televisore acceso mentre indugiava maliziosamente sulla croce celtica di Gianni Alemanno, simbolo dell’Italia differente che sognava Paolo Di Nella (e anche il padre della Bignardi).

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Gerardo Adami

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