Il caso. L’eroismo del patriota Paride Mori e l’ignavia delle istituzioni

paride moriL’eroismo di Paride Mori, ufficiale parmense del Battaglione bersaglieri volontari «Benito Mussolini», e poi inquadrato nell’esercito della Repubblica Sociale italiana, non ha bisogno certo né del riconoscimento del presidente della Camera Laura Boldrini né di polemiche delle solite consorterie dell’odio. Difese con coraggio la patria e il confine orientale dalla furia dei partigiani comunisti di Tito: tanto basta per segnalarlo tra gli italiani illustri per tutti i cittadini in buona fede.

Il riconoscimento del governo al martire sul fronte orientale

Lo scorso febbraio, nell’ambito delle manifestazione del Giorno del Ricordo, i famigliari di Mori, i fligli Renato e Bruno, hanno ricevuto dal governo una medaglia commemorativa ed un diploma in ricordo della difesa della patria sul fronte orientale nella quale si è distinto il capitano dei bersaglieri Paride Mori: l’ufficiale, distintosi per aver frenato la furia dei partigiani slavi nella provincia di Gorizia con un reggimento di volontari bersaglieri, fu ucciso in una imboscata mentre tornava nella sua caserma con un sidecar insieme al suo attendente.

Dal 1964 le spoglie dell’ufficiale della repubblica Sociale riposano nel Sacrario Militare d’Oltremare di Bari.

Perché la medaglia

Il riconoscimento, “una apposita insegna metallica con relativo diploma”, è previsto nell’articolo 3 della legge 92/2004 istitutiva del Giorno del Ricordo, e non indica alcuna esclusione per i patrioti della Repubblica Sociale Italiana.

Ecco il testo del provvedimento legislativo.

Articolo 3

1. Al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati, nonché ai soggetti di cui al comma 2, è concessa, a domanda e a titolo onorifico senza assegni, una apposita insegna metallica con relativo diploma nei limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 7, comma 1.

    2. Agli infoibati sono assimilati, a tutti gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati. Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l’anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, escludendo quelli che sono morti in combattimento.

La querelle politica

La medaglia “Giorno del Ricordo del Governo” e il riconoscimento ricevuto dal capitano Mori hanno scatenato le ideologiche proteste della sinistra antifascista e delle associazioni partigiane. “Se la commissione che ha vagliato centinaia di domande ha valutato erroneamente, il riconoscimento dovrà essere revocato”, assicura zelante il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Laura Boldrini si accoda: “La Presidente della Camera non ha dato alcun premio alla memoria del repubblichino Paride Mori, né ha in alcun modo concorso ad individuare il suo nome tra quelli meritevoli di onorificenza. L’individuazione dei soggetti cui attribuire le medaglie spetta infatti ad una commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio”.

La reazione del figlio Renato Mori

“Hanno ucciso per la terza volta mio padre – spiega Renato -. La prima trucidandolo in una imboscata firmata dai partigiani titini, la seconda quando gli anno intiolato una strada nel paese natale, intitolazione poi revocata; la terza volta con queste polemiche per una medaglia che ricorda un patriota. Mio padre era un fascista, ma non un delinquente”.

Chi è l’eroe Paride Mori nella lettera dei figli Bruno e Renato

Quali figli del Capitano Paride Mori, è nostro desiderio offrire una pubblica testimonianza di gratitudine al Sindaco di Trieste Roberto Cosolini, al Consiglio comunale ed alla popolazione tutta, per avere onorato la memoria dell’Ottavo Reggimento Bersaglieri con il conferimento della cittadinanza onoraria, in occasione delle celebrazioni per il LX Anniversario dell’ ultima redenzione (26 ottobre 1954).

Il 18 febbraio 1944 la guerra infuriava in tutta Europa, e sul nostro confine orientale non era da meno. Con il dissolvimento dell’esercito italiano conseguente all’armistizio dell’estate precedente, le forze avversarie avevano acquisito una forte supremazia numerica su quelle dell’Asse, in cui i Bersaglieri Volontari ebbero un ruolo fondamentale, distinguendosi per indomito valore e per la capacità di fronteggiare il nemico, costringendolo a segnare il passo fino al termine delle operazioni militari nell’aprile del 1945, quando lo sfascio degli altri fronti rese vana ogni ulteriore eroica resistenza, ben simboleggiata nei graffiti in cui quei gloriosi combattenti affermarono di “non volere il cambio”.

Nostro Padre, il Capitano Paride Mori, comandava una Compagnia del leggendario Ottavo Reggimento, impegnata nell’impervio comprensorio dell’Alto Isonzo, a monte di Tolmino. Già dal 9 settembre, all’indomani della resa di Pietro Badoglio, aveva compreso che il suo dovere era quello di accorrere in difesa della Venezia Giulia, terra sacra d’Italia, se non altro per il tanto sangue versato durante la prima Guerra Mondiale, ed aveva organizzato l’immediata partenza dei Volontari: giova notare che l’avvento del nuovo Stato repubblicano avrebbe avuto luogo soltanto due settimane dopo. Nondimeno, il cuore e la testa indicarono subito quale fosse la scelta che dovevano fare.

I Bersaglieri si comportarono con straordinario valore, dimostrato dalle tante decorazioni, fra cui la Medaglia d’Argento di nostro Padre, ma prima ancora, dalla tenuta del fronte in condizioni di enorme difficoltà e di inferiorità anche dal punto di vista degli approvvigionamenti, mentre sul fronte opposto si poteva fruire di costanti e crescenti aiuti degli Alleati. La storiografia ha reso giustizia a questi Eroi, cui “mancò la fortuna ma non il coraggio”, come attestano le opere di Arturo Salvatore Campoccia, di Teodoro Francesconi e di Alberto Zanettini. E come emerge dall’altissima incidenza dei Caduti sul totale delle forze combattenti, di gran lunga superiore alla media.

Quel 18 febbraio, nostro Padre scendeva, assieme al suo motociclista Costantino Di Marino, dai presidi della Val Baccia al Comando di Santa Lucia, quando cadde in un attentato ad opera di chi non volle accontentarsi di uccidere, ma infierì sulle Vittime in modo tanto vile quanto inumano. Paride aveva già visto la morte in faccia in tante azioni, guadagnandosi l’ammirazione dei suoi uomini, ma il destino volle diversamente; al pari di una troppo tardiva traslazione dal Cimitero di Santa Lucia al Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari, avvenuta dopo parecchi anni, dandoci finalmente il conforto di sapere che nostro Padre riposa in Patria, con la possibilità di portargli un fiore e di recitare una preghiera sul Suo sepolcro all’ombra del Tricolore.

Nostro Padre era consapevole dei rischi estremi imposti dal suo nobile sentire e dal suo costante impegno in prima linea: lo dimostrano le struggenti lettere dalla zona di guerra, come quelle che scrisse alla nostra mamma ed a noi figli, sebbene ancora piccoli, esortandoci alla disciplina, allo studio ed all’amore per la “grande Madre Italia”. E continuando ad affermare, appena due mesi prima di cadere sotto il piombo nemico, una fede cristallina nei destini della Patria, che riteneva, con esemplare coerenza, assolutamente inscindibili da quelli della famiglia.

Crediamo di poter affermare senza tema di smentita che quegli uomini erano davvero di un’altra tempra, oggi non facilmente comprensibile, in una stagione che ha fatto strame dei valori spirituali sostituendoli con il materialismo dilagante. E’ un buon motivo in più per onorarli e per additare il loro esempio, soprattutto ai giovani, nel quadro di un ricordo che risponde ad un’esigenza di fondo, perché, come è stato detto, un popolo senza memoria, e quindi senza coscienza, sarebbe un popolo senza futuro.

Nostro Padre ha conosciuto il surreale destino di essere ucciso due volte, perché anni or sono la città natale di Traversetolo (Parma) volle revocare la decisione di onorarne la memoria in una targa toponomastica, già posizionata in una via del centro, con la speciosa motivazione che aveva combattuto dalla “parte sbagliata”. Decisione amara ed a nostro giudizio sommamente ingiusta, soprattutto nell’ottica di quell’abbraccio riconciliatore che tanto spesso viene invocato ma che viene altrettanto spesso disatteso.

Come fu detto, “non omnis moriar” : non morirò del tutto! Vogliamo presumere che ciò valga anche per il nostro carissimo Paride e per tutti coloro che si immolarono in ossequio agli stessi ideali “non negoziabili” di fede, di amore patrio e di affetti familiari, esprimendo un’altissima perseveranza nella volontà e nella matura consapevolezza di doversi impegnare con coerente coraggio per la Giustizia e la Verità, a costo della Vita terrena, ma non della Gloria.

Renato e Bruno Mori, figli della Medaglia d’Argento Paride Mori

Le lettere patriottiche ai familiari

Da una lettera al figlio decenne Renato. 

“come vedi io faccio il bravo soldato e servo la Patria con le armi ben salde nel pugno e tu devi fare il bravo ragazzo amando l’Italia, perlomeno quanto l’ama il tuo Papà e prepararti a servirla quando sarai grande … studiando imparerai che il donare per Essa la vita è il più grande onore che possa sperare ogni Italiano che sia degno di portare questo nome … abbracciamo e grida con me Viva l’Italia”.

Da una lettera alla moglie Rosi del 9 novembre 1943.

“… se Dio ha segnato sul quadrante della mia vita l’ora suprema vuol dire che, in pace o in guerra, io me ne debbo andare e lasciarti il peso dei miei figli. Ma se quest’ora dovesse essere prossima , ti ho già detto tante volte che preferirei morire con l’arma in pugno, di fronte al nemico, per la salvezza della mia patria, che tu sai quanto io ami … e se proprio dovessi cadere tu sarai tanto forte da sopportare fieramente il tuo dolore benedicendo Dio d’avermi fatto morire della morte più bella …”.

@barbadilloit

Antonio Fiore

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