Eppure realismo e idealismo hanno in comune un tratto fondamentale: la convinzione che la realtà includa la realtà che diviene . Alle culture che precedono la filosofia non è certamente ignota la trasformazione continua e variegata del mondo: teogonie e cosmogonie e, in generale, le metamorfosi costantemente presenti nel mito, la attestano nel modo più esplicito. Ma è loro ignoto il senso che la filosofia, sin dal proprio inizio, assegna al divenire — e che rimane alla base dell’intero sviluppo della civiltà occidentale, ossia della dimensione i cui tratti essenziali si son posti ormai alla base di ogni altra civiltà.
Sin dall’inizio la filosofia intende il divenire come «unità di essere e di non essere». Ciò che diviene, infatti, «è» sin tanto che è, ma nel proprio passato e nel proprio futuro «non è», e quindi, come dice Platone, di esso non si può dire, separando il suo essere dal suo non essere, né soltanto che «è», né soltanto che «non è» ( Civitas , 479 e), ma è necessario dire che «insieme è e non è» ( hama on te kai me on , ibid., 478 d), ossia è appunto «unità di essere e di non essere». Anche Hegel definisce così il divenire — ma ormai è il senso comune a esser convinto che le cose del mondo che ora «sono», prima «non erano» ancora e poi «non saranno» più, e cioè, insieme, sono e non sono.
D’altra parte, la filosofia porta alla luce un senso inaudito del divenire perché indica un senso inaudito dell’«essere» e del «non essere», dei quali il divenire è l’unità. Ossia porta alla luce l’opposizione infinita che sussiste tra l’ essere e il nulla (che è appunto la forma più radicale del non essere), intendendo l’essere come ciò che ogni cosa (e si intenda questa parola nel senso più ampio) ha in comune con ogni altra, e che pertanto costituisce e configura la totalità della realtà; e intendendo il nulla come la totale assenza di ogni forma di essere.
Orbene, per lo più non si comprende come sia proprio il senso greco del divenire, che realismo e idealismo condividono, a far sì che il realismo, nonostante il suo attuale predominio sociale, sia destinato a mostrare la propria debolezza concettuale rispetto all’idealismo; ma non rispetto all’idealismo genericamente inteso, bensì rispetto a quella forma specifica di idealismo che è l’«attualismo» di Giovanni Gentile.
Questa affermazione riesce sorprendente già nella cultura italiana; in quella internazionale, poi, può suonare come un’esagerazione fuori luogo. Ma se si riesce a raggiungere il sottosuolo essenziale del nostro tempo, al di là cioè di quanto il nostro tempo crede di sapere di sé, ci si imbatte in qualcosa di estremamente più sorprendente e sconcertante. Innanzitutto, l’essenziale solidarietà tra attualismo e tecno-scienza. La quale scaturisce da un fondamento ancora più sorprendente. Se ne richiamerà qui il senso generale (che altrove ho determinatamente analizzato), lasciando parlare i testi di Gentile.
Per indicare il senso complessivo di queste affermazioni, va detto innanzitutto che il sottosuolo essenziale del nostro tempo, come di ogni tempo dell’Occidente, ha carattere filosofico . Ciò significa che il sottosuolo della civiltà della tecnica ha questo carattere. Per e in forza del quale essa è destinata a spingere al tramonto l’intera tradizione dell’Occidente: non soltanto, dunque, la tradizione culturale e i suoi valori, ma le stesse opere e istituzioni della tradizione occidentale.
La tecnica è di diritto l’ultimo Dio dell’Occidente — dove Dio è stato il primo Tecnico, il Demiurgo che fa passare le cose del mondo dal non essere all’essere e viceversa. La tecnica è di diritto l’ultimo Dio — nella misura cioè in cui la volontà tecnica di oltrepassare ogni limite, producendo e annientando ciò che, rispettivamente, è ritenuto un valore e un disvalore, è garantita dall’ impossibilità dell’esistenza di ogni Limite inoltre passabile, che le si opponga, cioè di ogni Essere immutabile, eterno, divino. Il Limite supremo è appunto Dio (soprattutto il Dio della tradizione dell’Occidente). Questa impossibilità può esser mostrata non dal sapere scientifico, ma soltanto da quello filosofico; e di fatto si mostra in ciò che chiamiamo sottosuolo filosofico del nostro tempo — ovvero nel luogo in cui cresce, insieme a pochi altri, il pensiero di Giovanni Gentile. (Dal Corriere della sera)
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