Sulla debole opposizione sociale al governo dell’ex sindaco di Firenze, invece, il discorso è ben più scivoloso: il leader dei metalmeccanici della Cgil nei mesi scorsi si era distinto per sorrisi, sms e ammiccamenti al nuovo premier, chissà in cambio di quali aperture o promesse. Salvo adesso fare dietrofront con proclami vecchio stile di scarsa credibilità.
Landini risulta almeno volubile (per usare un eufemismo), un burocrate sindacale che si esprime in un italiano vetusto, e rappresenta un mondo che non c’è più perché disintegrato dalla globalizzazione che tanto piace alla sinistra internazionalista: lo strappo renziano è senza dubbio uno smacco ai riti della concertazione che hanno caratterizzato sia la Prima che la Seconda Repubblica, ma soprattutto segna l’incapacità dei sindacati di incidere nel dibattito sociale, se non con proposte di retroguardia o conservative.
Sulle stesse posizioni di Renzi sono anche il Nuovo centrodestra e l’ala confindustriale di Forza Italia, mentre la debole sinistra Pd alla fine si allineerà ai diktat del premier.
Lo spazio per una opposizione sociale, in Italia, c’è ma viene sfruttato male da chi dovrebbe invece cogliere l’opportunità per costruire una alternativa calibrata proprio sui temi del lavoro, dell’occupazione e dell’innovazione (soprattutto nell’industria). Eppure le università italiane sono piene di studiosi e ricercatori che elaborano soluzioni giuslavoristiche di impronta sociale, sempre inascoltati dai politici.
Veterosinistra e destra patriottarda sono rimaste indietro, risultando marginali in questo dibattito. Il tempo liquido che stiamo vivendo non si può decifrare con categorie vecchie di ormai almeno tre decenni e per questo Renzi, con la flebile opposizione di Landini, può maramaldeggiare con una discutibile legge delega sul Lavoro, una volta elemento fondante della civiltà italiana. Quando aspirava ad essere universale…