Ed è proprio la “simplicitas” che consente di accostare il Nostro alla poetica e agli animatori di «Strapaese» – per Pietro Pancrazi in effetti il Calendario segnerebbe l’inizio del movimento di Maccari e Longanesi -, da cui, però, se da un lato lo distanziano l’esaltazione strapaesana dell’uomo nuovo e la violenza espressiva, dall’altro lo avvicina la comune aspirazione a una vita semplice, naturale, agreste, scandita dal ritmo e dalla poesia delle stagioni; da cui l’uomo moderno, sotto l’influsso del fenomeno dell’inurbamento, si è sempre più emancipato, con tutte le conseguenze di sorta ben sintetizzate, ad esempio, ne I Malavoglia di Verga, nel senso di sradicamento che pervade la figura del giovane ‘Ntoni, quando di ritorno dalla sua fuga nel “continente”, realizza di esser ormai al di fuori dei ritmi naturali del tempo ciclico, dell’alternarsi delle stagioni e delle costellazioni.
Di Lisi si è parlato, di volta in volta, di surrealismo, realismo magico, iperrealismo, quando in effetti si è dinanzi ad uno scrittore che considera la realtà stessa un dato straordinario. Per cui quel suo interesse contraddistintivo verso le componenti magiche e stregonesche andrebbe riconsiderato alla luce di una concezione della realtà nient’affatto scontata ma dipendente, come rileva il critico G. Spagnoletti, «da un’armonia beatificante»(5) che egli intravede «negli spiragli delle sue visioni»(6), nella vista di figure angeliche che si configurano quali esseri mediatori tra l’umano e il divino, all’interno di uno spazio dai confini evanescenti; una dimensione estemporanea, che si realizza mediante il ricorso al tempo interiore della coscienza, che William James, nei suoi Principles Of Psychology, distingueva dal tempo strumentale convenzionalmente misurato dall’orologio.
In Lisi, infatti, non vi è alcuna nozione di tempo reale né «del tempo così come siamo abituati a registrarlo nelle nostre cronache ufficiali. Il segreto dell’arte di Lisi è un moto puro, anzi una pura manifestazione dell’anima. Lo scrittore è trascrittore della sua sola passione interiore»(7), – citando il titolo di una sua opera – del suo “paese dell’anima”. «Il suo è un mondo fatto di voci, di luci, di apparizioni improvvise che avrebbero del miracoloso se non fossero soltanto ed esclusivamente naturali»(9). Egli vuol farci sentire che «accanto alla vita apparente di cui siamo – volta per volta – attori e vittime, accanto a questa vita effimera e quasi sempre dominata dall’ombra c’è un altro modo di essere che si manifesta al di fuori della nostra volontà. Non per nulla i suoi personaggi non dialogano mai fra loro e, anche quando lo fanno»(10), è come se tra loro è come se si interponesse un Altro che è al contempo assenza e verità sostanziale.
*Nicola Lisi, Diario di un parroco di campagna, Edizioni Cantagalli, euro 12.
(1) N. Lisi, Diario di un parroco di campagna, Cantagalli, Siena, quarta di copertina
(2) M. Marchi, Nicola Lisi, in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 65, 2005
(3) Ibid.
(4) G. Spagnoletti, Storia della letteratura italiana del Novecento, Newton Compton, Roma, 1994, p. 394
(5) Ibid.
(6) Ivi. 395
(7) C. Bo, Invito alla lettura, in N. Lisi, Opere\1 1928-1944, Vallecchi, Firenze, 1976, p. XIII
(8) Ibid.
(9) Ivi. p. XIV
(10) Ibid.