Bretagna. Il festival celtico di Lorient tra Asterix il punk e la tradizione

imageC’era una volta un gruppo di sognatori che voleva rimettere insieme tanti e diversi popoli europei. No, non si tratta di Schuman, Adenauer, De Gasperi e Spinelli. E’ gente meno conosciuta, un po’ ai margini. Però questi sì, ci sono riusciti. Hanno fatto rivivere una cultura europea e, per raggiungere il loro obiettivo, non hanno avuto bisgno di una moneta. Sono stati sufficienti un’anima, molto furore (come il furor gallicus dei loro antenati), alcune centinaia di cornamuse e qualche arpa. Celtica.

E così anche questa estate, nelle prime due settimane d’agosto, quei sognatori, insieme ad alcune centinaia di migliaia di loro simili, si sono ritrovati qui, in Francia, all’estremo ovest, nel far west dell’Europa, anzi come dicono loro con un gioco di parole, nel Phare Ouest, ovvero presso il faro all’ovest.

Qui è uno dei finis terrae del nostro continente. Qui è la Bretagna. Terra di magie e di tempeste, dell’incantatore Merlino e della fantastica Ville d’Ys, inghiottita dall’oceano.

E’ anche la terra del Festival Interceltico di Lorient, la città che ospitò la Compagnia delle Indie e la più grande base dei sommergibili tedeschi in Atlantico, oggi faro di una cultura che sta rinascendo e che ha molto da insegnare a tutti gli europei.

Città rossa in una Bretagna di Chouans, città dai cinque porti, completamente rasa al suolo dai bombardamenti alleati e ricostruita nel dopoguerra, Lorient, nel 1971, raccolse il testimone del Festival delle Cornamuse di Brest.

Allora, negli anni ’70, suonare uno strumento della tradizione bretone e celtica, era malvisto dalle autorità francesi. Allora era vietato l’insegnamento del bretone nelle scuole. L’uso della bandiera nazionale bretone, la Gwenn ha du, era consentito solo durante le feste folkloristiche. Chi attaccava alla propria auto un adesivo con la scritta BZH, l’abbreviazione di Breizh che vuol dire Bretagna, veniva inesorabilmente multato dalla polizia francese.

A chi voleva difendere l’identità, le tradizioni della sua terra e il proprio futuro dall’omologazione, restavano dunque solo il folklore e la musica. Ma al governo francese sfuggiva la potenza di queste due armi culturali, se utilizzate con intelligenza e cuore.

A distanza di più di quattro decenni da quella scommessa, oggi, nella giornata conclusiva del 44° Festival Interceltico di Lorient, gli organizzatori tracciano il primo bilancio di quest’ultima edizione: 750.000 spettatori, 10 giorni di spettacoli che hanno visto in scena più di 5.000 artisti provenienti da tutte le terre celtiche: Bretagna, Galles, Scozia, Irlanda, Asturie, Galizia, Isola di Man, Cornovaglia. Tutte terre  figlie di uno dei più grandi popoli della storia europea, che pochi decenni orsono erano ridotte ai margini della nuova Europa.

Ai Celti di oggi, come ai Bretoni, era rimasta solo la dura terra dell’Ovest estremo. Eppure ora le loro bandiere sono tutte lì a sventolare sui palazzi e sugli alberi delle navi nei porti di Lorient, spinte dalla brezza dell’Oceano Atlantico, in direzione opposta, verso il continente. A riconquistare l’Europa delle culture deboli, l’Europa senza identità di Bruxelles e della Bce

In Bretagna, in tantissimi giardini, come negli Stati Uniti, le famiglie hanno piantato un’asta con la bandiera bianco e nera e le impronte dell’ermellino. In ogni paese si è ricostituita la bagad, la banda tradizionale con le cornamuse, la grancassa, i rullanti e le bombardine. I giovani danzano per ore la gavotte insieme agli anziani nelle tantissime fest noz, le popolari feste notturne, che prolungano le interminabili giornate estive del Nord.

La musica celtica, grazie alle intuizioni e alla capacità di artisti straordinari, il primo e il più grande dei quali resta sempre Alan Stivell, si è aperta al mondo, incontrando il rock, il punk, lo ska e perfino la salsa, ma senza mai perdere le sue radici più profonde, che evidentemente non erano affatto gelate.

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E così alle feste di paese si è aggiunto un grande festival interceltico, nel quale, come nel crogiolo del mago Merlino le culture celtiche minoritarie, si riconoscono le une con le altre, si sovrappongono e si fondono di nuovo, ritrovando l’antica potenza e una nuova bellezza.

A distanza di 44 anni dalla prima edizione del festival la lingua bretone è materia d’insegnamento nelle scuole e nelle università e le librerie traboccano di libri non solo sulla storia e sulla cultura bretoni, ma anche su quelle irlandesi, scozzesi e galiziane.

Si paga tutto in euro, però ad unire i visitatori del festival non è la moneta ma l’energia e l’anima celtiche, quelle che i bretoni hanno dimostrato nelle recenti rivolte dei Bonnets Rouges.

L’Europa si fa più a Lorient che a Strasburgo”, disse Michele Crosti di Radio Popolare, inviato al Festival, negli anni in cui anche l’Italia provava a far capolino con Angelo Branduardi e tanti altri giovani artisti.

La musica è solo un pretesto, ciò che conta è la festa”, aggiungeva Jean Pierre Pichard, direttore generale del Festival. Perché, non c’è bisogno di essere laureato in antropologia per capirlo, se si fa festa insieme si crea la comunità, se si fa musica insieme si intrecciano le radici.

E così dall’estremo ovest dell’Europa parte una lezione che va dritta al cuore (ammesso che ce ne sia uno) dei palazzi di Bruxelles e di Stasburgo.

L’Altra Europa si fa con Asterix, con i celti dell’ultimo villaggio assediato, o non si fa. Si fa con i popoli che ancora vedono il proprio futuro come un frutto delle loro radici, non si fa con i banchieri.

Si fa facendo comunità e facendo festa insieme. Ma che sia festa vera. Come il festival interceltico e non come le feste artificiali che l’Unione Europea s’inventa di tanto in tanto, magari progettate da agenzie ispirate solo dai calcoli dei finanziamenti e non certo dalle magie di Merlino e dal cuore di migliaia di volontari che stasera a Lorient sono stanchissimi, ma soddisfatti da quest’ennesimo straordinario successo.

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Gian Luca Diamanti

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