Cultura. “La commedia di Charleroi” di Drieu e il racconto degli uomini in guerra

pierre-drieu-la-rochelle-(1893-1945)La storia per immagini. La storia in hd a tutte le ore. Una vera abbuffata di immagini per celebrare la Prima guerra mondiale. Rai Storia, Sky History, video distribuiti in edicola: questo e altro per agganciare il centenario 1914/2014. Le immagini tuttavia non aiutano a comprendere i rapporti causa/effetto di un evento storico. Le immagini evocano scenari ma non spiegano le ragioni storiche. Il documento letterario, invece, apre percorsi conoscitivi, tenendo fermo il lettore nell’ascolto della voce dei testimoni. In questo senso Fazi Editore aiuta ad approfondire l’evento Prima guerra mondiale con la pubblicazione de “La commedia di Charleroi” di Pierre Drieu La Rochelle.

E’ questo il romanzo del disinganno di un reduce. E’ una grande opera narrativa che dimostra che, per entrare nei fatti tragici di quel conflitto, è indispensabile ascoltare la voce di un soldato, divenuto un grande scrittore.

Siamo in sintonia con l’introduzione al romanzo, curata da Arnaldo Colasanti; qui il giudizio critico raggiunge una conclusione storicamente valida, cioè raggiunge l’idea per cui da questa guerra comincia tutto; essa è una rivoluzione per l’umanità, è uno “stato di eccezione” e per questo “… gli uomini che hanno vissuto il furore delle trincee sono già quelli che, incapaci di abbracciare una condizione diversa dallo stato d’eccezione, andranno a popolare le grandi mobilitazioni totalitarie del Novecento.”

Nel romanzo di Drieu La Rochelle, da una parte c’è il racconto degli uomini in guerra, della loro carneficina; dall’altra una madre borghese, la signora Pragen, che vive l’illusione della morte eroica del proprio figlio. Il contrasto tra la violenza e la malinconica vanità materna, tesa ad onorare la memoria del figlio-soldato, genera il centro tematico dell’opera.

Rispetto agli altri romanzi del primo conflitto mondiale, “La Commedia di Charleroi” al momento appare dinamica per la conduzione dei piani narrativi. Ossia vi è un’ impressionante sincronia delle vicende, cioè una simultaneità di fatti che non rintracciamo in altre opere dedicate alla guerra europea.

Leggiamo Ernst Jünger (“Le tempeste d’acciaio”) per scoprire l’ossessione delle tecnologie belliche; Jaroslav Hasek (“Le avventure del buon soldato Svejk durante la guerra mondiale”) per comprendere un continente senza più intelletto e perduto dietro fanfare, tamburi rollanti; Ernest Hemingway per ritrovare un amore sfortunato nel gorgo della devastazione (“Per chi suona la campana”); e rileggiamo Drieu La Rochelle per ascoltare la voce del segretario della signora Pragen, ovvero la voce della coscienza della crisi.

Il segretario racconta momenti angosciosi, osserva un vissuto banale, violento, privo di ideali.E’ intenso il disegno delle ultime pose romantiche dei soldati; è reale il racconto delle codardie dell’uomo vinto e dell’uomo vincitore, “Come sono stato vile e valoroso, quel giorno, buon compagno e disertore, dentro e fuori il senso comune, dentro e fuori la sorte comune.” 

L’eroismo e la paura. Il cinismo e l’esaltazione militare. Insomma, questo è il romanzo degli stati d’animo. Il romanzo dei sentimenti diventati impossibili. Lo ritroviamo in libreria e meriterebbe un’attenzione critica incondizionata, per disporre di un documento storico-letterario unico, per superare, per sempre, l’idea di una sorta di immoralità intellettuale assegnata allo scrittore Drieu La Rochelle.

Di sicuro, tra le pagine de “La commedia di Charleroi”, ritroviamo la voce dell’intellettuale Pierre che si definiva insieme reazionario e rivoluzionario; che, nei suoi libri, rifletteva la luce di un io libero e radicale. Come nel passo dedicato ai suoi slanci di soldato, “L’allegria di essere solo e di staccarmi dagli altri, distinguendomi da loro con un atto clamoroso. E, senza dubbio, avevo bisogno di agire per non cadere nel marasma. Mi ero di nuovo sentito attorno l’umiliazione di tutta la mediocrità che fu per me il peggior supplizio della guerra, quella mediocrità che aveva troppa paura per scappare e troppa per vincere, e perciò rimase là per quattro anni di seguito, in bilico tra le due soluzioni”(pag. 47)

Nell’introduzione, Arnaldo Colasanti tenta un confronto tra Drieu La Rochelle e Pascal. Un confronto difficile in quanto al centro delle opere di questo scrittore del Novecento non c’è la nascita della vita, ma la fine.

La fine della vita, i suoi gesti drammatici, le sue miserie, il tutto per mostrare che “Gli uomini non sono stati umani, non hanno mai voluto essere umani. Hanno sopportato di essere inumani.” 

Pertanto, se Drieu La Rochelle non è pascaliano, forse è un nipotino di un altro francese, La Rochefoucauld.Nei racconti della “Commedia…” emerge l’animo indagatore, pessimista, così caustico da non accettare le favole dei vincitori, la favola delle virtù democratiche; e tutto ciò brilla nella luce delle maximes morales di Francois de La Rochefoucauld.

In conclusione. Dopo aver ascoltato la voce del reduce, abbiamo la sensazione di non poter più raccontare la realtà, perché “Non si può scrivere che sulla morte, sul passato” (“Addio a Gonzague”) Così, a noi tutti, Drieu La Rochelle ha consegnato questa dottrina della letteratura: il raccontare la realtà è solo un’ossessione. E scriviamolo una volta per tutte, ma narrare una fiction, un mondo contemporaneo esploso, è una presunzione intellettuale che pretende di influire sul presente.

Allora ripetiamo che “Non si può scrivere che sulla morte, sul passato” perché il presente narrato è una trappola illuministica. Perché la parzialità del presente poi pretende di essere l’arte oggettivata. Perché, definitivamente, non ci interessa più il contemporaneo. Non ci interessa.

@barbadilloit

Renato de Robertis

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