Cultura. Addio a Giorgio Faletti maschera perfetta di una Italia leggera e arguta

La scomparsa di un personaggio famoso provoca sempre ondate emozionali eccessive. Specie nel mondo dorato dei social network, che sembra aver definitivamente preso il posto del bar dello Sport e della bottega del barbiere. Eppure nel caso della morte di Giorgio Faletti – improvvisa, inattesa, crudele e prematura – le tante testimonianze che si sono alternate fin dalla tarda mattinata sono apparse sincere, più vere. Forse perché Faletti – deceduto in un ospedale torinese a 63 anni, per un tumore – era un personaggio che bene o male apparteneva alla storia collettiva di questo Paese, quanto meno degli ultimi trent’anni. Che ha attraversato con leggerezza, divertendoci, emozionandoci e facendoci trascorrere alcune ore in allegria o riflessione. Non è molto, ma in questi tempi è già qualcosa.

Era un uomo poliedrico, Faletti. Che ha saputo cimentarsi in varie attività, anche molto diverse fra loro, raccogliendo ovunque successo e simpatia. E’ stato dapprima comico di razza al milaneseDerby (con Abatantuono, Boldi, Teocoli, Paolo Rossi e Salvi) epoi nelle nascenti televisioni berlusconiane: indimenticabile la sua rassegna di personaggi improbabili e surreali del Drive-in, dalla guardia giurata Vito Cattozzo al ragazzo provinciale Carlino, da Suor Daliso a Franco Tamburino, stilista di Abbiategrasso. Poi uomo di spettacolo tout-court alla Rai, in Fantastico e Stasera mi butto… e tre!

Un altro avrebbe potuto camparci per anni, ma Faletti al successo garantito ha sempre preferito tentare altre vie. Così nei primi anni Novanta si è improvvisato cantante, compositore e paroliere (ha scritto anche per Mina), partecipando a due Festival di Sanremo e arrivando secondo nel 1994 con la celebre Signor tenente, ispirata alla strage di Capaci. Nelle sue canzoni emerge una figura molto diversa dal comico televisivo, più riflessiva e malinconica, che prefigura la seconda parte della sua vita artistica. Continua a comparire in tivù e bazzica anche i teatri, ma nel 2002, a sorpresa, l’artista astigiano esce con un romanzo thriller che spiazza pubblico e critici letterari: Io uccido. Sarà per la fama del personaggio, sarà per la pubblicità azzeccata, ma il libro si vende come il pane. Alla fine saranno 4 milioni di copie, un trionfo senza precedenti, al quale nel corso degli anni seguiranno altri cinque romanzi di buon successo, che tuttavia non ripeteranno l’exploit dell’esordio. I suoi libri vengono tradotti in 25 lingue e pubblicati con grande successo, oltre che in tutti gli stati d’Europa, anche in Sud America, Cina, Giappone, Russia e Stati Uniti.

Intanto Faletti, che vive tra le sue colline dell’Astigiano e l’isola d’Elba, è già altrove. Ritorna al cinema, frequentato senza grande fortuna in gioventù, e si segnala per alcune parti non da protagonista in Notte prima degli esami, Cemento armato, Baaria di Tornatore. Il suo ultimo romanzo, Tre atti e due tempi, è invece dedicato al calcio minore e al fenomeno delle scommesse, ed è ambientato in un’immaginaria città di provincia del nord Italia che altro non è se non la sua Asti, descritta nei suoi piccoli vizi e piccole virtù.

Tifoso della Juventus, appassionato di corse automobilistiche, ha disputato anche alcuni rally e si è speso in prima persona per la cultura nella sua città e per la salvaguardia del patrimonio culturale dei Castelli Romani, luogo di origine della famiglia materna. A detta di chi lo conosceva da vicino, aveva un grande pregio: non se la tirava. Malgrado il successo, la fama e i soldi accumulati in una carriera di grandi soddisfazioni, Giorgio Faletti era rimasto una persona normale, alla mano, disponibile.

Manlio Collino, ex pontefice massimo della goliardia torinese, così lo saluta su Facebook: «Diventammo amici al Caffè Ateneo negli anni ’70, quando ero Pontefice e tu venivi in piola coi goliardi, e cantavi sul palco con noi. Ma la cosa più bella è stata l’entusiasmo con cui hai onorato questa amicizia quando ci incontrammo molti anni dopo, e tu eri già molto famoso e ricco, eppure non te la tiravi affatto, eri sempre un compagnone affettuoso, allegro e arguto e parlavi in piemontese come quando incantavi le giovani massaie facendo il batteur nei mercati dell’astigiano. Speravo ancora in una bella cantata insieme all’osteria, so che non ti saresti sottratto, me l’avevi anche detto qui su Fb, avevo solo paura di non fare in tempo perché ho 5 anni più di te. Invece mi hai fregato».

Una semplicità confermata anche da altre testimonianze virtuali, raccolte in giro per la rete. Giorgio Bianco: «Di te si sono dette tante cose, come scrittore, come attore. Io preferisco ricordarti in un corridoio della Rai di Torino. Facevo la comparsa e la gente “importante” di solito non saluta le comparse. Tu invece incrociavi il mio sguardo con un sorriso e dicevi ad alta voce: “Ciao, bell’uomo!”. Eri una cara persona». E ancora Daniele Cambiaso: «Ricordo con profonda emozione il privilegio di alcune conversazioni con lui… una grande umanità, un talento poliedrico e genuino».

Negli incontri a cui partecipava Giorgio Faletti era solito dire: «La vita ha spesso una trama pessima. Preferisco di gran lunga i miei romanzi». Visto l’epilogo di oggi, anche noi.

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Giorgio Ballario

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