Il ricordo. Mario Palmaro tra fede e pensiero una vita contro conformismi e relativismi

palmaroSe n’è andato qualche giorno fa, stremato da una malattia che lascia poco scampo. Ed è ora, riassestate le idee, vivissima ancora l’emozione, che ne scriviamo e parliamo. Sì, Mario Palmaro, come noto, non c’è più.

Ci ha lasciati, giovanissimo, quasi 46 anni, uno dei campioni e cavalli di razza del giornalismo cattolico impegnato. Impegnato, come egli è sempre stato, a difesa dell’ortodossia cattolica contro ogni cedimento relativista o indifferentista presente anche nelle inquiete acque del pensiero stesso cattolico degli ultimi decenni.

Collaboratore di riviste come “Il Timone”, “Radici cristiane”, “Studi cattolici”, laureato in Giurisprudenza (tesi sull’aborto procurato), si perfezionò in bioetica all’istituto San Raffaele di Milano, collaborando successivamente con il centro di bioetica dell’Università Cattolica.

Non si contano le sue pubblicazioni, spesso a quattro mani con Alessandro Gnocchi, pure validissimo ricercatore cattolico, su temi di apologetica e costume. Apologetica: una parola che, nel senso e nel segno dell’etimo, Palmaro declinava alla lettera.

Un cristiano e cattolico “addurre ragioni”, un connubio perfetto tra il logos creante della fede e il logos speculativo del pensiero.

Una fede non disposta a compromessi con le ideologie mondane, aperta e in dialogo con tutti, attiva nella battaglia comune delle idee e nel civile riconoscimento dell’interlocutore, ma ferma nel riconoscere un’identità d’amore e di valori “alti”, chiara nell’esprimere una cultura in cui affermarsi.

Tanti, si diceva, i libri del celebre e fortunato duo Gnocchi-Palmaro: volumi che hanno segnato il primo decennio del duemila e anche oltre.

Libri lettissimi presso un certo mondo cattolico, forse poco ben visto dell’ideologia militante quotidiana, quella, magari, dei settari adepti del barbuto e pensoso (?!) filosofo di Repubblica: uno che, tanto per dirne una, nell’ultimo sermone da noi letto ha osato addirittura paragonare, per la forza a suo dire innovativa e “rivoluzionaria”, Enrico Berlinguer a papa Francesco.

Si attende pronta smentita romana, considerata la figuraccia fatta dal “fondatore” in occasione dell’intervista col vescovo di Roma, confezionata, secondo i propri desiderata e poi non a caso rimossa dal sito vaticano.

Un libro di Mario abbiamo particolarmente nel cuore: “Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà”, Vallecchi, 2011. Libro da noi letto con ritardo, per di più terminato su quella piazza San Pietro del 13 marzo 2013, in trepidante attesa del suo nuovo pastore.

E Francesco ha amato, alla sua dolce maniera, Mario Palmaro.

Quel Mario, quel figlio di fede che pure lo aveva criticato in un articolo sul Foglio, pezzo che scatenò discussioni e che fece perdere a Palmaro e a Gnocchi la rubrica di bioetica su Radio Maria (ma ai difensori dell’articolo 21 della Costituzione, sempre in agitazione permanente, la cosa sembrò non interessare punto). “Questo papa non ci piace”, l’eloquentissimo titolo dell’articolo.  

Del resto, su Francesco, è ora in libreria l’ultimo libro a sua firma, “Questo papa piace troppo. Un’appassionata lettura critica”, Piemme, sempre con Gnocchi e in più con un contributo di Giuliano Ferrara. Papa Francesco ha telefonato a Mario: come sempre, direte. Ma qui non lo ha fatto dopo l’emotività di una supplica eclatante a lui o dopo uno dei suoi consueti moti spontanei: lo ha fatto dopo un attacco di un credente col cervello, un uomo innamorato della Verità, un attacco, come Mario subito precisò, non certo assente del necessario e filiale rispetto ma, semmai, sincero e schietto nell’evidenziare criticità di atti e comportamenti.

Il papa ha benedetto quell’uomo intelligente. La benedizione, ora, ha toccato le vette più alte: quelle della somma protezione celeste.

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Marino Pagano

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