L’intervista. Mellone: “Con ‘Meridione a rotaia’ racconto l’amore fondato sull’appartenenza”

meridioSi chiude così, con una «storia di sangue, radici e amori senza tacchi», il tragitto di Angelo Mellone nel Sud che è Patria troppo spesso senza Stato e che fatica, a volte, a sentirsi parte della Nazione. Dopo la rabbia contro il meridionalismo incapacitante, e la difesa degli “uomini d’acciaio” che hanno fatto di Taranto una capitale dell’industria, l’ultima parte della trilogia dello scrittore è dedicata al ritorno, alla “pace” – che non è tregua – con le radici. Il tempo “sospeso” di un viaggio in treno, quello che solo al Sud è possibile, diventa occasione per fare i conti con se stessi, con la propria gente e – come spiega il nostro autore – «con l’amore fondato sull’appartenenza».

Dove portano e chi portano le rotaie nel Meridione?

Le rotaie portano me, e in alcune fermate una figura femminile, Bidi, che mi accompagna in questo lungo, pazzo, squinternato, doloroso, esaltante viaggio di ritorno a Meridione, verso ciò che in Addio al Sud avevo abbandonato con rabbia.

Che cosa ha spinto a raccontare – nell’epoca dei voli low cost – il Sud lento dei viaggi in treno?

Il treno è ciò che unisce le ultime cinque generazioni. I nostri trisavoli viaggiavano in treno. E poi il treno va ovunque, nelle stazioni metropolitane e nelle stazioncine di montagna, si inerpica e scende, e soprattutto ti dà la possibilità di guardare fuori dal finestrino – i panorami, le visioni, i palazzi, i fiumi, il mare, i dorsi delle montagne, i cucuzzoli, gli abitati – e dentro lo scompartimento, facendo comunione con coloro che condividono il viaggio, i tuoi compagni occasionali. Tanti ne ho incontrati, e di qualcuno ho raccontato…

Questo lavoro in che modo si pone rispetto al suo j’accuse contro il pensiero meridiano?

Odio l’idea del Sud “lento” che esaurirebbe così la sua vocazione. La lentezza è il tempo necessario della nostalgia, ma non è il tempo sufficiente: ci vuole velocità, se noi meridionali non vogliamo diventare i camerieri di russi e cinesi, tutti assiepati sulle coste, mentre i paesi dell’interno saranno ri-colonizzati da quello che io chiamo il “Sud di Sud”, ovvero i nuovi immigrati del Mediterraneo.

Stavolta nel viaggio di ritorno entra anche la “donna”.

Sì, a Meridione sono tornato in compagnia di figure femminili. E la riflessione sul Sud questa volta incrocia anche quella sull’amore. Io mi scaglio contro l’idea astratta di amore, in favore di un concetto di amore fondato sull’appartenenza: come dico, io desidero l’amore che “tiene sempre i piedi per terra”. E a Sud prendo viaggio per trovare questo amore. C’è una “Tu” che non capisce l’idea dell’“amore senza tacchi”, e c’è Bidi che invece lo intende, e mi accompagna, dolcemente, nel giro pazzo che finisce in una notte di capodanno sotto casa mia, quella di mio padre, che ho venduto anni fa e che resta la mia ossessione. Prima o poi citofonerò ai nuovi proprietari…

Con “Addio al Sud” ha toccato il tasto dell’indignazione e dell’invettiva contro un’intera classe dirigente politica e culturale del meridione. Con AcciaoMare quello dell’orgoglio industriale di Taranto, la sua città. Adesso? 

Quella della dolcezza, credo. E della riscoperta consapevole e matura delle radici.

La trilogia di orazioni civili è uno dei pochi esperimenti artistici di ampio respiro provenienti dall’ambiente non conformista italiano. Che cosa significa? 

Significa che bisogna inventare sempre qualcosa di nuovo per non farsi schiacciare dall’ottica autocommiserativa. Con le mie orazioni civili cerco di escogitare un linguaggio – parole e tecnologia – che possa essere inteso da chiunque, senza cedere di un millimetro nel mio, per così dire, posizionamento ideologico.

La trilogia sul Sud si chiude così: “Meridione restituisce sempre ciò che hai smarrito”. Che cosa aveva smarrito Angelo Mellone? 

L’amore. Le radici. L’appartenenza. E il dolore per la loro scomparsa. Quando scrivo «io sono ciò che ho perduto» alludo proprio a questo.

*Meridione a rotaia (Marsilio, pp. 96 €10). La “prima” andrà in scena giovedì 13 aprile al teatro Argentina di Roma alle ore 21. Sul palco, assieme ad Angelo Mellone, Raffaella Zappalà. In consolle Andrea Borgnino. Al video Marco Zampetti.  Regia tecnica Carlo de Marinis. L’ingresso è gratuito. La redazione di Barbadillo invita tutti gli amici e i lettori della Capitale a partecipare.

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Antonio Rapisarda

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