La provocazione. Ricordare Mishima per onorare i samurai d’Occidente

Dominique Venner MishimaMentre provo a buttare giù queste righe è l’idea della riluttanza a frenare il ticchettio della tastiera. Ma ha ancora senso ricordare? Ha senso scrivere? Ha senso leggere? Più si fa enorme il contenitore delle nostre singole vite, l’abbiamo chiamata globalizzazione, più diventa fragile e sottile la forma che ad esse siamo in grado di donare. Il contenitore è troppo grande per essere riempito. Modernità liquida, ci hanno detto che si chiama. Mancano gli uomini, dice la realtà.

Ha quindi senso ricordarsi del 25 novembre? Di un atto puro, portato a compimento per il solo gusto di ridare forma alla propria esistenza? Difficile trovarlo, davvero. Quello di Yukio Mishima non è più esempio estetico sul quale costruire, se davvero è mai accaduto, una liturgia ecclesiale capace di riempire, fra morti alti e bassi, il calendario dell’avvento neofascista, giù fino al Solstizio d’inverno, attesa della nuova luce. La ritualità è venuta meno. Meglio. Fermate il Presente! Fermate la citazione da Facebook.

Eppure la parola Samurai è recentemente tornata di moda. Samurai d’Occidente è il titolo delle memorie di Jean Dominique Venner,  lucido intellettuale, coraggioso intellettuale. Più stoicismo che bushido nel suo sangue dimenticato sul sagrato di Notre Dame. Il tifo per Marine, ci ha forse colpevolmente distratto. Tuttavia resta un punto: il Samurai d’Occidente non era né Tedesco, né Spagnolo, né Italiano. Era Francese. Tanto quanto Drieu. Anime sensibili, torturate, inadatte. Maschere. Fuochi fatui di una modernità non accettata. Francesi. Romantici. E per questo accostabili alla tradizione del bushido giapponese: tradizione buddhista, tradizione zen, poetico dolore dell’inumana sensibilità nella ricerca della propria forma.

Così, questo 25 novembre, il ticchettio della tastiera porta ad un consiglio di esercizio, di disciplina poco mediterranea e poco mitteleuropea, piuttosto giapponese, piuttosto francese: c’è un passo che il pudore letterario di Mishima non avrebbe mai scritto ma che al meglio rende la condizione del disperso senza forma. Lo si trova nel Diario di un Delicato, quando La Rochelle confessa a sé stesso e a tutta la Francia quel che noi ostinatamente, quotidianamente, nascondiamo per comprensibile istinto di sopravvivenza: la volontà dei nostri popoli muore in noi, come noi abbassiamo la testa di fronte al nostro capo ufficio.

Trovare quel passo sarà un buon esercizio per questo 25 novembre, farlo nostro l’ulteriore inaspettato, sforzo; fino a sentirsi, per solo un brevissimo pauroso istante, persi nel niente delle nostre modernissime vite. Solo così avremo davvero tentato di onorare e comprendere il gesto di Yukio Mishima e lo spirito degli ultimi Samurai.

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Giacomo Petrella

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