Teatro. “Lo sfascio” di Vaporidis tra anni ’70 e il destino che vince la rassegnazione

vaporidisTra i resti accatastati di auto sfasciate, in un clima da anni ’70 della Roma degradata e isolata, l’immagine di una stanza sistemata alla meglio racchiude nella sua ibrida sostanza le vite disordinate e profondamente infelici di cinque personaggi.

Il cinema nel teatro. L’eloquenza delle immagine chiarite dalla nitidità dei dialoghi, espressione chiara del degrado esistenziale dei personaggi. “Lo sfascio” trionfa alla sala Umberto, per la regia di Saverio di Biagio e Gianni Clemente e con un cast versatile, le cui incursioni teatrali giungono dopo una consolidata esperienza cinematografica e televisiva.

Vaporidis a sette anni dall’improvviso successo mostra maturità e compostezza scenica, padronanza dello strumento teatrale, tanto apparentemente simile quanto distante dalla velocità del cinema. Ma lo sfascio è questo principalmente: è un incontro fra teatro e cinema, fra sogni e impotenza, fra corruttibilità e destino. Due ore di spettacolo intenso, comico e mai scontato, duro nel linguaggio e nelle scene, ma mai volgare, irriverente e non dissacrante. Alessio di Clemente è Fosco, il proprietario della Sfascio, un uomo annoiato dalle responsabilità matrimoniali, assente dalla vita del figlio, la cui presenza si lascia intendere nelle parole della moglie Katia, fragile e vendicativa come solo le donne ferite sanno essere. Un uomo vissuto, disilluso, violento con la propria donna e di cui si evidenzia l’umanità soltanto nel rapporto con il fratello Manlio, un ragazzotto cresciuto, colpito da grave handicap mentale, figura folle e ironica, esempio di genuinità in tanto arrivismo. Jennifer Mischiati è Katia, moglie di Fosco, una donna umiliata dal marito, a cui la sorte da una seconda possibilità.

Manlio è interpretato da Augusto Fornari, attore televisivo e cinematografico, ma non nuovo ad esperienze teatrali, tanto è vero che la complessità del suo personaggio è risolta con una disinvoltura da far sembrare il ritorno alla normalità, nei saluti finali, una stranezza. Completa lo sfascio morale della casistica comportamentale Ugo, un poliziotto attento a nascondere sotto il suo distintivo la passione per il poker e la tentazione per la rapina e il ricatto, magistralmente interpretato da Riccardo de Filippis, attore di cinema e teatro, nonché famoso per la celebre miniserie televisiva Romanzo Criminale.

Non vi è vero amore nello sfascio, non vi è amicizia sincera, legame di sangue, non vi è rispetto per la parola data. Si dimenticano le responsabilità, si capovolgono i ruoli, si rinuncia all’onore. E’ una società i cui pezzi oramai “sfasciati” dalla matrice originale” stentano a tenersi insieme. Eppure il caso, la vita non permette all’uomo di rassegnarsi, perché dietro gesti stolti e affrettati, presenta il conto e dà una speranza. La vita trionfa in tanta decadenza.

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Marina Simeone

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