Il commento. Il ventennio di Fini e le troppe occasioni culturali mancate

il ventennioMesse da parte le cattiverie d’ambiente e le polemiche già ascoltate, l’ultimo libro di Gianfranco Fini (Il ventennio – Io, Berlusconi e la destra tradita, Rizzoli) appare utile per iniziare a fissare gli errori e le occasioni mancate da parte di una “destra di governo” che avrebbe potuto essere e non fu.

In particolare sul tema, che ci sta a cuore,  delle politiche culturali, tema per il quale Fini fa il suo bravo “mea culpa”, sottolineando come la domanda che la destra politica deve porsi, in sede di bilanci, “…è se ha accompagnato o meno la sua azione di governo con un’azione culturale e metapolitica capace di individuare e far affermare nella società un nucleo di valori comunemente condivisi da tutti i cittadini e quindi come tali capaci di imporsi a fondamento di una nuova Italia”.

Da destra è mancata, ben al di là delle azioni di governo, quella cultura politico-istituzionale in grado di “contribuire attivamente alla stesura di un nuovo patto fondativo tra tutti gli italiani”  e alla determinazione – scrive sempre Fini – di una “destra con cultura di governo”, in grado di esprimere una propria, precisa “idea della nazione, della società, delle istituzioni, dell’economia”.

Sarebbe bastato – aggiungiamo noi –  leggere Antonio Gramsci, pur citato nelle “Tesi di Fiuggi”, almeno nella parte che riguarda la sua teoria del potere culturale e la sua idea di  uno Stato che si regge non solo  su un apparato di coercizione ma anche grazie all’attività del potere culturale , all’adesione degli spiriti ad una concezione del mondo che consolida e giustifica il potere politico.

E per passare dalle parole ai fatti sarebbe bastato guardarsi intorno, evitando – come avvenne nell’incontro viterbese di San Martino al Cimino dell’estate 1996, appuntamento citato dallo stesso Fini tra i “momenti felici” dei primi anni del centrodestra – di pendere dalle labbra di qualche esponente della cultura liberale (con un passato da marxista) che invitava i giovani di An ad “abbandonare gli schemi mentali antimoderni e organicisti”. Fini avrebbe scoperto tanti “intellettuali” appassionati che non chiedevano altro che strumenti ed organizzazione per realizzare finalmente, da destra,  l’auspicata “rivoluzione culturale”.

Qualcuno ci provò anche a dare consigli. Pensiamo agli instancabili inviti di Gianfranco de Turris, che tentò di realizzare, senza successo,  un primo coordinamento tra gli assessori alla cultura di An; ai seminari di studio del professor Gianfranco Legitimo, peraltro citato da Fini che ricorda anche la derisione riservatagli da qualche “colonnello”; alle battaglie identitarie, ma molto creative, del mensile “Area” e alle punzecchiature di Giano Accame. Pensiamo all’esempio di Marzio Tremaglia, compianto Assessore alla Cultura della Regione Lombardia.

Permettetemi, con l’occasione, di citare  un piccolo episodio, in linea con l’entusiasmo culturalmente movimentista,  che caratterizzò i primi anni del “ventennio”.  Nell’estate del 1995 inviai a Fini un libretto francese, edito da una casa editrice vicina all’Udf, con la proposta di realizzare un’analoga  casa editrice di An, in grado di diffondere, in modo metodico, le idee ed i progetti del nuovo soggetto politico. Con mio grande stupore Fini non solo mi inviò una lettera di ringraziamento ma mi invitò  ad un colloquio con lui, per approfondire l’argomento. L’incontro avvenne ai primi di settembre, in Via della Scrofa. Mi presentai, pieno d’entusiasmo, con un nome per l’impresa  (“Biblioteca Nazionale”)  ed un progetto organico, che ne valutava anche i costi, le potenzialità, gli indirizzi editoriali.

Fini mi ascoltò. Ne parlammo. Poi prese il telefono e chiamò Adolfo Urso, invitandolo ad organizzarmi un incontro con Gino Agnese, studioso di scienza della comunicazione e allora responsabile della cultura di An. Nella stessa giornata, con Urso, andai a casa di Agnese, al Quartiere Coppedè di Roma. Anche lì lunga chiacchierata ed apprezzamenti generali. Ma oltre purtroppo non si andò. Eppure sarebbe bastato poco, almeno per iniziare il discorso, per “usare” le aperture che all’epoca venivano copiose, per lavorare, al di là delle contingenze politiche, per formare opinioni.

Quante proposte simili sono rimaste nei cassetti di Via della Scrofa? E quante occasioni, purtroppo mancate,  ci sono state, in questo “ventennio”, per realizzare l’auspicata “svolta”? Il senso di una “destra tradita” sta anche lì. Nel mancato “sdoganamento” culturale, in grado di consolidare e dare un senso ai risultati elettorali. Nella mancata volontà di  trasformare veramente le idee in azione…

Mario Bozzi Sentieri

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