L’intervista (di M.Cabona). Lo storico Carli: “Il declino italiano in prospettiva vaticana”

vaticanoDiventando ambasciatore in Vaticano, Ernst von Weizsäcker (padre di Richard,  presidente della Repubblica Federale di Germania dal 1984 al 1994) si recò per istruzioni dal Cancelliere del Reich. Adolf Hitler fu sintetico: “A Roma troverà il Duce, il Re e il Papa. L’ultimo è il solo che conti”. Pochi anni dopo, l’ex deputato trentino al Parlamento di Vienna, Alcide De Gasperi, portò dunque la neonata Repubblica italiana sotto la protezione di Pio XII (e del cardinale di New York, Francis Joseph Spellman), salvandola da nemici detti Alleati. Il Vaticano mediò così abilmente che già nel 1949 l’Italia era nell’Alleanza atlantica. Farsi “proteggere” dagli Stati Uniti, superpotenza ricca e lontana, aveva sottratto la Sicilia alla Gran Bretagna e la Val d’Aosta, la Liguria occidentale e l’isola d’Elba alla Francia, potenze povere e vicine. Con questa svolta, l’8 settembre 1943 appariva ormai come un 20 settembre 1870 alla rovescia. Ma già col concordato dell’11 febbraio 1929 un autorevole capo di governo italiano ne aveva preso atto.

Carlo Fabrizio Carli

Del declino italiano in prospettiva vaticana è testimone Carlo Fabrizio Carli: cattolico sempre, clericale mai; patriota, non nazionalista, è critico e storico dell’arte e dell’architettura. Ma dagli anni ’70 commenta anche – per settimanali italiani e quotidiani elvetici – “i sotterranei del Vaticano”.

Ingegner Carli, Salvatore Satta stabilì – era il 1948 – che la morte della patria risalisse al 1943. La resa fu certo determinante, ma il “decesso” fu immediato?

“No. L’eredità dell’Italia risorgimentale e soprattutto liberale (molto più che di quella fascista) continuò ad operare durante un ventennio dopo la disfatta militare”.

Lei è nato nel dopoguerra, quando la patria già non si sentiva tanto bene…
“… Ricordo i miei insegnanti, in una scuola peraltro cattolica, immagine di un’Italia legata a criteri di integrità civile. Il maestro alle elementari, gli insegnanti di lettere e di matematica alle medie erano monarchici, che ancora negli anni ’50 e ’60 – come culmine del loro insegnamento –  commemoravano gli antichi alunni, caduti a El Alamein. Essi restano esemplari nella memoria”.

Dicembre 1941: Vittorio Emanuele III dichiara guerra agli Usa, ai quali Pio XII si allea tacitamente. Dopo El Alamein (ottobre 1942), il Regno d’Italia pensa solo alla resa. Col trattato di pace (febbraio 1947) il nuovo Asse con Washington si perfeziona con De Gasperi, col Vaticano di Pio XII e del cardinale Spellman garanti. La risalita durerà circa 15 anni…

“Pio XII, figura di eccezionale valore, diplomatico finissimo, non s’illudeva su obbiettivi e strategie del capitalismo americano. Ma, di fronte al comunismo staliniano e al paganesimo nazista, non aveva scelta. Il comunismo era inteso come una minaccia mortale; una minaccia prossima. Oltretutto era ormai chiaro che americani e alleati fossero vincitori della guerra”.

Che cosa voleva la diplomazia vaticana?

“Assicurare libertà operativa delle strutture cattoliche; questo il significato dei concordati, da Napoleone ad Hitler, e all’Ostpolitik del cardinal Casaroli. Tutto ciò aveva un peso particolare in Italia, dove era incardinato il Vaticano. Finché i Papi del Novecento furono italiani, furono consapevoli di essere effettivamente, non solo nominalmente, vescovi di Roma e primati d’Italia”.   

La morte della patria venne dopo lunga agonia, costellata di insperate riprese: ingresso nella Nato, ritorno di Trieste alla madrepatria, tracolli anglo-francesi….

“Ma c’è anche una data connessa a un peggioramento: il 1962 della nazionalizzazione delle aziende elettriche. Allora cominciò la spirale del clientelismo, degli sprechi, dell’ingordigia dei partiti”.

Per colpa di chi?

“E’ opinione oggi diffusa che Fanfani, peraltro cattolicissimo, amico di La Pira, e gli ambienti a lui vicini volessero l’istituzione dell’Enel proprio come serbatoio di risorse per emancipare la Dc dal controllo, anche economico, del Vaticano, esercitato con energia, soprattutto in epoca pacelliana”.       

Impossibilità di maggioranze a destra per la Dc e scomparsa di Pio XII orientarono altrove la politica italiana. Col centro-sinistra, all’idea di patria, che è di tutti, si sovrappose quella di Resistenza, che è di pochi.

“Un processo di tale entità ha varie concause. Tra queste quelle che lei cita. Il processo è lento, spesso di sotterranea incubazione di quanto esploderà pochi anni dopo. Le aperture di Giovanni XXIII – che dal punto di vista dottrinario era un conservatore – furono abilmente sfruttate dalla sinistra. Comunque è significativo che concordiamo quasi esattamente sulla data dell’inizio del processo di decadenza”.

La Santa Sede diventò a sua volta centro di scontro politico, connesso al Concilio Vaticano II, e la parte conservatrice venne sconfitta facilmente. Perché?

“Gli ambienti tradizionalisti italiani affrontarono in modo inadeguato il progressismo cattolico. Pensi che una libreria del centro di Roma, nucleo di aggregazione dei conservatori, finì con il vendere matite e quaderni…”.

Anche fuori d’Italia non andò meglio.

“Gli ambienti tradizionalisti francesi, più ferrati in dottrina e meglio organizzati, non hanno ottenuto risultati molto più significativi, se si esclude la diaspora dei lefebvriani, al momento insanabile”.

Continuò però la linea di politica internazionale. Al pontificato di Giovanni XXIII successe quello di Paolo VI, da tempo ideatore delle strategie vaticane, quindi italiane, attraverso la Dc. Papa Montini diventò, con Moro, il difensore della residua sovranità italiana?

“Per quasi cinque secoli i Papi sono stati italiani – non a caso – per evitare che un Papa appartenesse a una nazionalità forte, come la francese, la tedesca, l’austriaca o, in epoche più lontane, la spagnola. I Papi italiani avevano il piccolo (e spesso aggredito) Stato temporale, e questo doveva loro bastare”.

La sconfitta del 1943 ha perfezionato un 1870 alla rovescia?

“Specie dopo il 1870 e, ancor più, dopo la Conciliazione del 1929 e il crollo del fascismo nel 1943, i Pontefici sono consapevoli del loro primato spirituale sull’Italia e intenzionati ad esercitarlo. Tanto più nel caso di Montini, che era stato tra gli ideatori e i registi della Dc. Metterei però, accanto e avanti a quello di Moro il nome di Andreotti tra i difensori della residua sovranità nazionale”.   

La fine misteriosa di Giovanni Paolo I, poi l’avvento di sovrani stranieri modificarono l’atteggiamento della maggiore potenza politica con sede a Roma. Era inevitabile?

“Sì. Un Papa straniero, sebbene affiancato da un Segretario di Stato italiano, conosce meno e segue con minore attenzione la situazione italiana, demandando molte scelte alla Curia, alla Segreteria di Stato”.

La fine della Dc è avvenuta sotto il papa polacco.

“Non è un caso che dopo quindici anni dall’elezione del primo papa non italiano (per definizione, non ci sono stranieri nella Chiesa) dell’ultimo mezzo millennio, la Dc si sia dissolta, assieme al progetto dell’unità politica dei cattolici italiani. Ma anche crollo del muro di Berlino e fine dell’Urss vi hanno contribuito”.

Qual è, in questa prospettiva, il significato del Pontificato di Jorge Bergoglio?

“Nell’ultimo conclave i cardinali hanno scelto anche con sguardo geopolitico. Il Papa argentino esaudiva le giuste aspirazioni dei cattolici latino-americani – la maggioranza demografica del cattolicesimo contemporaneo –, per avere maggiore visibilità e un maggior peso nella Chiesa.

Se l’Italia in declino, anche l’Argentina non scherza…

“… Papa Francesco è un argentino di prima generazione, attento alle sue radici italiane; estremamente significativo è il suo insistere, fin dal discorso dalla loggia di San Pietro appena eletto, sul suo ruolo di Vescovo di Roma”.

Dopo il polacco, il tedesco, poi l’argentino… La distanza geografica da Roma dell’origine del Vescovo di Roma cresce.

“Arduo immaginare un Papa (‘scelto quasi alla fine del mondo’) più estraneo e lontano dalle beghe della politica italiana. Bergoglio è convinto che l’appannamento d’immagine subito dalla Chiesa cattolica per le vicende del Vatileaks e dell’Ior richieda una terapia d’urto, anche a rischio di sconcertare i cattolici conservatori. Il conto delle ‘legioni’ dei fedeli sembra dargli ragione”.

Con il nuovo Segretario di Stato, Parolin…

“… E’ significativa l’intenzione di eliminare il particolare legame tra Santa Sede e Conferenza Episcopale Italiana (il cui presidente, fin qui nominato dal Papa, dovrebbe essere eletto direttamente dai vescovi, come avviene nel caso di tutte le altre conferenze episcopali nazionali)”.

Non è una svolta epocale. C’è altro?

“Ribadire l’uso dell’italiano come lingua ufficiosa della Chiesa dà alla nostra lingua una delle ultime occasioni di accreditamento internazionale. Di questi tempi è già qualcosa”.

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Maurizio Cabona

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