L’intervista. Sangiuliano: “Italia repubblica senza Patria ammalata di conformismo”

LIBRO FELTRI-SANGIULIANO

Uno Stato senza un collante identitario, privo di patriottismo unificante. E’ questa l’Italia che Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano presentano in “Una Repubblica senza Patria”, con sottotitolo “Storie d’Italia dal 1943 ad oggi” (Mondadori). E’ un saggio, da oggi nelle librerie, che farà discutere, inserendosi nel filone della pubblicistica che confuta “da destra” i capisaldi del conservatorismo e dell’immobilismo nazionale, a partire dalla intangibilità della Costituzione per finire con la deriva conformista che vorrebbe mettere il bavaglio attraverso leggi liberticide anche alla ricerca storica.

Gennaro Sangiuliano, scrittore, vicedirettore del Tg1 e docente presso le università Lumsa e la Sapienza di Roma, anticipa con questa intervista a Barbadillo alcuni temi del libro insieme alle motivazioni che lo hanno spinto, con Feltri, a mettere a nudo la debolezza dell’impianto repubblicano.

Sangiuliano e Feltri : come nasce questo sodalizio?

Sono riconoscente nei confronti di Vittorio Feltri: dopo la mia esperienza alla direzione de il “Roma” mi offrì la possibilità di diventare capo della redazione romana di Libero, mentre in precedenza avevo collaborato a Il Giornale e il Borghese. Feltri è in pieno erede di quella tradizione giornalistica che ha attraversato il Novecento da Giuseppe Prezzolini e La Voce, passando per Leo Longanesi e Curzio Malaparte, fino a Indro Montanelli: grandi maestri che avevano in comune il motto di essere “quelli che non la bevono”.

Qual è il filo rosso di “Una Repubblica senza Patria”?

Raccontiamo storie che sono state tenute “sotterranee”. E lo facciamo senza sconti o tabù. Confutiamo anche il mito della Costituzione, che qualcuno definisce “la più bella del mondo”: nella Carta ci sono passaggi pregevoli ma anche una parte copiata pari pari dalla costituzione sovietica del 1936. E nessuno aveva finora ricordato questo particolare con riscontri documentali.

Come si è sviluppata la scrittura a quattro mani?

Ci siamo divisi il lavoro. Mi sono dedicato al periodo dall’8 settembre 1943 al boom economico degli anni sessanta. Feltri ha approfondito il periodo successivo.

La vulgata storica sulla “guerra civile” vista da un giornalista come lei, cresciuto nel Msi…

La mia posizione è quella accettata da una certa storiografia italiana: sono con Renzo De Felice che riteneva la guerra civile un episodio assolutamente minoritario, perché coinvolse poche decine di migliaia di persone. Riprendo le tesi di Roberto Vivarelli, storico di sinistra in gioventù aderente alla Repubblica Sociale Italiana e faccio tesoro dell’animo pacificatore di Luciano Violante, quando da presidente della Camera tenne un discorso che rendeva atto ai giovani in grigioverde di aver compiuto una scelta di coerenza.

Di questi tempi c’è chi vorrebbe regolamentare per legge la confutazione delle tesi storiche.

Siamo tornati indietro rispetto al pluralismo di posizioni e letture a fatica conquistato negli anni novanta.

L’Italia del dopoguerra era molto più vivace economicamente ed intellettualmente dell’attuale?

Nel saggio confronto l’Italia laboriosa, “del fare”, degli anni sessanta che costruiva grandi infrastrutture in tempi ragionevoli e l’Italia del nuovo millennio: il risultato è impietoso. Se si dovesse realizzare l’Autostrada del Sole oggi, non ci riusciremmo tra ricorsi amministrativi e localismi…

Gli anni cinquanta e sessanta richiamano alla mente patrioti come Enrico Mattei e Adriano Olivetti.

Sono presenti nel capitolo dedicato alle grandi eccellenze italiane. Il caso di Olivetti è simbolico per misurare il nostro declino: quando l’ingegnere morì, l’azienda di Ivrea aveva decine di migliaia di dipendenti ed era all’avanguardia nell’informatica, non nazionale, ma mondiale. Aveva addirittura una fabbrica a Cupertino negli Usa: i capannoni erano a poche decine di metri dall’attuale Apple… Poteva diventare un colosso mondiale. Mattei? Un cattolico di sinistra e un grande italiano: fu nominato commissario liquidatore e divenne invece il creatore di una grande realtà come l’Eni, in grado di primeggiare su scala planetaria nel settore delle energie.

Un libro per riflettere sull’identità nazionale incompiuta?

L’Italia è una entità statuale ma non è mai riuscita ad avere una nozione unificante di patria. Quando François Mitterand si presentò in campagna elettorale recuperando l’immagine di de Gaulle fece discutere, ma replicò facendo proprio anche il pensiero del generale nella sua idea di Francia. Da noi sarebbe impossibile.

A chi risulterà indigesta la lettura della vostra opera?

Alle vestali delle parole d’ordine e dell’immobilismo, un partito trasversale di Soloni che va da destra e sinistra. Mettiamo in discussione il politicamente corretto che ammorba il dibattito pubblico, come una dittatura. Il conformismo nazionale ci sta lentamente uccidendo non facendoci fare passi avanti verso la modernizzazione.

A destra spesso il giornalismo ha incontrato la narrazione storica, come per le opere monumentali di Montanelli con Roberto Gervaso o Mario Cervi.

Loro sono dei grandi, mentre io cerco solo di fare il mio lavoro di giornalista e studioso nel migliore dei modi per amore dell’Italia.

@waldganger2000

Michele De Feudis

Michele De Feudis su Barbadillo.it

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