Segnalibro. L’etica del guerriero e i testi sacri indoeuropei

Mario Polia fa il punto sulla casta tradizionale del combattente per trarre una visione collegata alla via spirituale e alla prassi nella realtà

L’etica del guerriero di Mario Polia

Leggere o rileggere i grandi classici del pensiero indoeuropeo ha lo scopo di approfondire la cultura dei nostri avi e avere l’opportunità di trovare ulteriori soluzioni per il presente. Nelle comunità tradizionali, secondo la tripartizione funzionale individuata e messa a punto proprio da Georges Dumézil, esistono i sacerdoti, i guerrieri e gli artigiani che si occupano della produzione. Mario Polia, antropologo e studioso delle religioni, ha messo a punto, in un libro di particolare interesse, L’etica del guerriero, le modalità di condotta che deve assumere e far proprie un combattente, un guerriero. Per farlo in maniera compiuta Polia ha scelto un testo della cultura indoeuropea fra i maggiori, la Bhagavad Gita (“Cantico del Beato”), testo iniziatico destinato alla casta guerriera, secondo la Tradizione indù. Andrebbe letto, approfondito e messo a disposizione degli attuali uomini che vogliono conoscere – e magari far propria – l’etica guerriera come visione del mondo tradizionale. Polia, autore di vari libri sulla Tradizione, offre una sorta di breviario per mettere a fuoco le coordinate di un atteggiamento di fronte alla vita. La Bhagavad Gita, quindi, come bussola per indicare la via realizzativa nella quale l’azione diviene prassi per la conoscenza spirituale. Infatti non ha senso un’azione che si svolge senza una visione spirituale ben orientata e lo stesso vale per una conoscenza spirituale senza un’azione conseguenziale che si dispiega nel mondo. L’una sostiene e rafforza l’altra. E Polia spiega che i punti focali ricorrenti del simbolismo nella Bhagavad Gita sono: l’ambientazione in un campo di battaglia, a bordo di un carro per la guerra del quale il guerriero Arjuna si rivolge a Krishna, grande divinità, per ottenere chiarimenti in merito al suo operato. Il campo di battaglia rappresenta il proprio dovere da adempiere e il compimento del proprio Dharma. Significa compiere i doveri connessi con la propria natura. Arjuna combatte solo con arco e frecce. E’ naturalmente indirizzato verso la nobiltà e la rettitudine, ma con una luce “lunare”, non splendente quindi di luce propria. Arjuna deve combattere contro i nemici interiori e ha bisogno di sostegno e di essere costantemente illuminato. La sua battaglia – è evidente – è innanzitutto interiore. Krishna, grande divinità, lo assiste, e rappresenta il principio spirituale che indica la strada giusta all’uomo. Il carro simboleggia gli aspetti spirituali: il principio divino (Krishna) e la natura ascendente (Arjuna), due manifestazioni della stessa realtà. Per evitare che l’ira, l’istinto, l’orgoglio possano sporcare l’operato del guerriero il carro viene diretto da Krishna e sarà colui che spingerà Arjuna a sconfiggere i nemici interiori, a tenere a bada il proprio ego a compiere il proprio dovere di guerriero, a prescindere della riuscita dell’azione o meno. Sono questi i principii eterni che mostrano la grandezza della Tradizione, valida per tutti popoli e che per ogni popolo ha – nello stesso tempo – caratteristiche differenti.

*Mario Polia, L’etica del guerriero. La via dell’azione nella Bhagavad Gita, Cinabro ed., pagg. 141, euro 16

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Manlio Triggiani

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