Aspide. L’estate invincibile di Paradisi, per far festa alla Rivoluzione

Il saggio edito da Bietti, dedicato alla giovinezza nella società degli eterni adolescenti, è disseminato di spunti affascinanti, di citazioni cinematografiche e definizioni degne di nota

L’estate invincibile di Riccardo Paradisi per Bietti

Lettura estiva per eccellenza e per antonomasia, tanto da citare un Camus splendidamente “solare” nel titolo, “Un’estate invincibile” di Riccardo Paradisi, meritoriamente edito da Bietti nel 2016, è la lettura perfetta per un torrido agosto e, ancor di più, per questo agosto funestato da perturbazioni metereologiche, così come è punteggiata di perturbazioni emotive la sua protagonista, la giovinezza. 

Il saggio di Paradisi, dedicato alla giovinezza nella società degli eterni adolescenti, è disseminato di spunti affascinanti, di citazioni cinematografiche e definizioni degne di nota (prima fra tutte quella dell’autore, che chiama la De Filippi “la Leni Riefenstahl del regime del cazzeggio”), ed è sostanzialmente diviso in due parti – in realtà in tre macrosezioni, ma sussumibili in due filoni – quella di ricostruzione storica, filosofica e letteraria e quella delle considerazioni sulla postmodernità. E se la prima risulta davvero ottima, specialmente nei nuclei concettuali più complessi (quelli mitteleuropei di Heidegger, Novalis, Jung, ma anche l’accenno alla valida divulgazione di Pound compiuta dal gruppo di intellettuali di cui faceva parte Massimo Cacciari), la seconda patisce inevitabilmente di un’incolpevole obsolescenza che fa quasi sorridere, seppur amaramente, a distanza di una manciata d’anni: il disgusto per il giovanilismo di facciata di un Renzi o le battute infelici di una Fornero o di un Padoa-Schioppa sembrano infatti lontane anni luce dopo tre anni di emergenza pandemica costellata di figure e figuranti ancor più squallidi e di provvedimenti ancor più dannosi per le fasce più giovani della popolazione.

La tematica – apparentemente tangenziale, forse, e però invece inestricabilmente legata all’argomento del saggio in questione – che però risulta più controversa e suscita qualche considerazione in più è quella delle ideologie e della rivoluzione. L’autore, infatti, se da un canto giustamente sottolinea l’aspetto claustrofobico e coercitivo delle grandi ideologie del ‘900, dall’altro soprassiede un po’ troppo sulla “festa” che va di pari passo con le rivoluzioni, festa che dà il titolo a uno splendido saggio di Claudia Salaris su Fiume e, in chiave minore e parafrasandolo, anche a queste poche righe: festa che, certo, troppo spesso nella storia si è trasformata in ebbrezza, ubriacatura, orgia e massacro, ma che cionondimeno è ciò che ha attratto i giovani di allora (si pensi al bel diario fiumano del diciottenne Carlo Otto Guglielmino, sempre edito da Bietti) e ha smesso di attrarre i giovani d’oggi verso il movimentismo politico. Non a caso, riguardo alla Rivoluzione è citata una sprezzante intervista di Pasolini, che, dopo aver “corteggiato” abbondantemente i giovani sessantottini fu da loro rifiutato, e li criticò aspramente, seppur non del tutto a torto, sottolineando la loro ignoranza culturale e la mitizzazione del pragma a scapito della riflessione – si veda, in proposito, il dettagliato saggio di Claudio Siniscalchi di un paio d’anni fa, “Teorema sessantottino” -, nonché una dichiarazione di Michnick che, sempre non del tutto a torto, dal suo punto di vista, liquidò il ’68 parigino come “un carnevale”. Per non dire dell’aneddoto sulla fotografia simbolo del’68, quella di Caroline de Bendern, indossatrice ereditiera che si trova quasi per caso alla manifestazione per la liberazione del Vietnam e viene immortalata con la bandiera in mano: come se il bacio di Doisneau perdesse parte del suo valore artistico o della sua potenza solo perché dietro ad un’immagine apparentemente spontanea c’è una costruzione artefatta (nonché una causa milionaria)… 

Copyright: Justasurferdude per Pixabay

Senza dire poi del fatto che se, a mo’ di esperimento scientifico autoptico, si epurasse “I sette colori” di Brasillach dalla sezione, pur ingenua, sul nazional-socialismo, si snaturerebbe il romanzo, che probabilmente smetterebbe di essere il capolavoro che è…

Riccardo Paradisi

Insomma, pare che l’autore, nell’enfasi di criticare tanto le ideologie della prima metà del ‘900 quanto il ’68, si faccia un po’ prendere la mano, e d’altra parte, come dice il protagonista di “Una pura formalità” di Tornatore “Non bisognerebbe mai incontrare i propri miti. Visti da vicino ti accorgi che hanno i foruncoli. Rischi di scoprire che le grandi opere che ti hanno fatto sognare tanto le hanno pensate stando seduti sul cesso…”. Sia concesso però a chi scrive di perdonare questo piccolo difetto in nome della splendida citazione del maestro Saint Germain, che indica i trentatré anni come “l’età della gioventù adulta e consapevole”: me ne resta ancora uno, e dunque brindo all’Estate invincibile…

@barbadilloit

 

Camilla Scarpa

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