Aspide. Il manuale del ribelle di Limonov e l’Europa che fa eleggere le miss a una giuria di ciechi

Grande ospizio occidentale è l'ultimo libro pubblicato da Bietti dello scrittore russo: un catalogo di intuizioni senza tempo che invitano a rompere

Eduard Limonov con il simbolo della rivista Limonka e del partito nazionlabolscevico

Eduard Limonov

“Agitato, non mescolato”.

Cosa c’entra la storica battuta del James Bond di Sean Connery con il “Grande Ospizio Occidentale” di Eduard Limonov, uscito per Bietti qualche settimana fa? Più di quanto possa sembrare, perché se, da un canto, in questo inedito Limonov sociologo (che si ritiene più ficcante persino di Guy Debord) la figura dell’eroe cerca di riguadagnare la sua centralità nella fiacca mitopoiesi europea, dall’altro gli “Agitati” costituiscono una delle tre classi di una tripartizione che ricorda Dumézil, ma proiettato nella postmodernità. Nel Grande Ospizio Occidentale, infatti, la divisione è tra Amministratori, Malati Modello e Agitati, con una guest-star: le Vittime – di cui alcune, si scoprirà nel corso della lettura, sono “più vittime di altre”, orwellianamente. 

Il Popolo, anzi, “quel mostro chiamato Popolo”, è ovviamente composto per il 99% di Malati Modello in una condizione di perenne adolescenza (anestetizzata però dalla virilità aggressiva ed esplosiva propria della vera adolescenza), e perciò oggetto degli strali dell’Autore, che invoca l’insurrezione contro la dittatura del popolo, considerata “un atto tanto nobile quanto lo fu duecento anni fa sollevarsi contro l’Assolutismo”, e giudica il suffragio universale “amorale”. 

Già da queste prime battute si dovrebbe comprendere qual è il principale talento di Limonov in questa sede per lui inconsueta: la capacità di concepire formule immediate, dirompenti, enfatiche che fanno breccia nell’immaginazione del lettore. Il talento di un narratore, insomma. Orwell è allora “un curioso centauro con le gambe di un poliziotto, il groppone di un anarchico e una cravatta da ex studente di Eton”, il nazismo è “figlio legittimo di Madama Europa e non un bastardo nato per caso dagli amoreggiamenti di Hitler con una certa Germania”, Bowie un “bisessuale da night club” – quando perfino l’ex amico di Limonov, Dugin, apparentemente assai più serioso, aveva riconosciuto nel suo “I templari del Proletariato” (AGA Edizioni, settembre 2021, euro 32) le forti impronte esoteriche di album come “Absolute Beginners” – , l’Inferno è “sempre a casa degli altri” e “La letteratura ci guadagnerebbe se la televisione la lasciasse in pace!”. 

Una immagine da un sito eurasista: al centro Limonov pop

Quanto all’impianto teorico e all’immaginario letterario, c’è un po’ della sempreverde dialettica schmittiana di amico-nemico, un po’ di revival della sacertà dei confini à la Regis Débray, un po’ del Drieu anti-statistico e vitalistico di “Misura della Francia”, un po’ della virilità machista di un Jack Donovan, un po’ del Toynbee sul suicidio delle grandi civiltà, un po’ del “Mattatoio n.5” di Vonnegut. 

Nonostante qualche garbuglio o misunderstanding concettuale, forse almeno in parte dovuto alla lingua (primo fra tutti quello sul rapporto individuo-comunità, dove Limonov a tratti sembra quasi sostenere che il problema dell’Occidente sia la troppa centralità della seconda che marginalizza il primo, mentre il discorso è evidentemente più complesso e, probabilmente, capovolto), Limonov ha delle intuizioni brillanti sull’Europa moderna, che ai suoi occhi somiglia, non a caso, ad una trasposizione sociologica più sottile – ma non meno “violenta” – del suo romanzo “Il boia”: un regime soft di “statomasochismo” in cui “l’atrofia del libero arbitrio non è provocata da torture abominevoli, ma pian piano, con subdoli innesti” e in cui la capacità lavorativa e produttiva, contrapposta alla beata arroganza anarchica del pigro del folklore popolare, è l’unico parametro di valutazione dell’uomo moderno e il look è “la miserabile rivincita dell’uomo contemporaneo sulla storia”. 

Senza contare che, nonostante il libro sia stato scritto nei primi anni ’90, conserva intatta un’attualità notevole su alcune tematiche centrali del dibattito pubblico odierno: la libertà di stampa come diritto “vuoto” in assenza di condizioni economiche e mediatiche minime atte ad esercitarlo, il ruolo della “neolingua” nell’ideologia progressista, il “tele-statismo”, più pericoloso di tutti i dipendenti di Goebbels, nonché l’evoluzione della violenza cieca e spontanea in violenza soft per ragioni “non umanitarie ma pragmatiche” e lo stigma “morale” in capo all’avversario, che ha ormai sostituito le vittorie in battaglia sullo scacchiere internazionale. 

Insomma, scongiurando il rischio di sembrare, negli ultimi anni della sua vita, una casalinga di Vogh… di Djerzhinsk che avversa il pop, i capelloni e le partite di calcio, Limonov affonda il coltello nel cuore pulsante della contraddizione democratica europea, che consiste, in nuce, nell’affidare “l’elezione di Miss Mondo a una giuria di ciechi”. E no, non nel senso di cecoslovacchi. 

Nuovo ospizio occidentale di Limonov per Bietti

*Grande ospizio occidentale, a cura di Andrea Lombardi, con introduzione di Alain de Benoist

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Camilla Scarpa

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