L’anima disumana dell’agenda totalitaria verde

Il regime della sostenibilità a tutti i costi porta all’impoverimento del mondo

Il saggio di Joel Kotkin

“L’uomo è la misura di tutte le cose”, scriveva il filosofo greco Protagora oltre 2.500 anni fa. Purtroppo oggi le nostre élite sembrano non vederla più in questo modo.

Negli ultimi anni con l’abusata parola “sostenibilità” è stata promossa una visione che ha messo in secondo piano in cui i bisogni e le aspirazioni umane rispetto alla frugalità verde delle emissioni zero e della “decrescita”. Le classi dirigenti dell’Occidente, pur in declino, hanno infatti deciso salvare il pianeta impoverendo i loro concittadini. Si prevede che il loro programma costerà al mondo 6.000 miliardi di dollari all’anno per i prossimi 30 anni. Nel  frattempo incasseranno massicci sussidi verdi e vivranno come signorotti rinascimentali.

In Enemies of Progress Austin Williams sottolinea che il “mantra della sostenibilità” si basa sul presupposto che “l’umanità sia il più grande problema del pianeta” e non invece il “creatore di un futuro migliore”. In effetti, molti scienziati del clima e attivisti verdi considerano una priorità assoluta la riduzione del numero di abitanti sul pianeta. Il loro programma richiede infatti non solo meno persone e meno famiglie, ma anche meno consumi da parte delle masse. Si aspettano che si viva in unità abitative sempre più piccole, che si riduca la mobilità e che si sia disposti a sostenere costi più alti per riscaldamento ed aria condizionata. Queste priorità si riflettono poi in una burocratico apparato normativo che, se non invoca direttamente Dio, agisce sentendosi la mano destra di Gaia ed elevando a fede assoluta la scienza.

Ma la domanda che dobbiamo in primo luogo porci è: sostenibilità per chi?                          

Il Segretario del Tesoro statunitense Janet Yellen ha recentemente dichiarato che il suo dipartimento considera il cambiamento climatico come “la più grande opportunità economica del nostro tempo”. E naturalmente gli stessi investitori di Wall Street,  gli oligarchi della tecnologia ed i loro eredi finanziano le campagne degli attivisti per il clima, ed investono massicciamente nelle politiche ecologiste, e questo mentre assumono un sempre maggior controllo dei mezzi di comunicazione. I Rockefeller, eredi della fortuna della Standard Oil, e altri verdi ultra ricchi stanno finanziando giornalisti specializzati clima presso organi come l’Associated Press e il National Public Rad.

I grandi ricchi beneficeranno sicuramente del nuovo regime fondato sulla sostenibilità, ma ben scarsi saranno i vantaggi per il resto della popolazione. L’esempio forse più eclatante è l’adozione forzata dei veicoli elettrici, che ha già contribuito a rendere Elon Musk, CEO di Tesla, il secondo uomo più ricco del mondo. Nonostante i miglioramenti apportati ai veicoli a basse emissioni, i consumatori vengono essenzialmente spinti ad adottare una tecnologia che presenta evidenti problemi tecnici, rimane molto più costosa del motore a combustione interna e dipende principalmente da una rete elettrica che è già sull’orlo di un blackout. Ma gli ambientalisti non si aspettano certo che i veicoli elettrici sostituiscano un giorno le auto della gente comune. No, le persone saranno costrette a utilizzare i trasporti pubblici, a spostarsi andando in bicicletta o a piedi.

Il passaggio alle auto elettriche non è certo un vantaggio per le classi lavoratrici e la classe media occidentale, ma costituisce un’enorme manna per la Cina, che ha un enorme vantaggio nella produzione di batterie e terre rare, necessarie per la produzione di auto elettriche e con un ruolo fondamentale anche nelle turbine eoliche e nelle celle solari. BYD, l’azienda cinese sostenuta da Warren Buffett, è diventata il principale produttore di veicoli elettrici al mondo e ha grandi ambizioni di esportazione. Le aziende americane di veicoli elettrici, invece, sono alle prese con problemi di produzione e di catena di approvvigionamento, dovuti in parte all’opposizione verde all’estrazione nazionale di terre rare. Persino Tesla si aspetta che gran parte della sua crescita futura provenga dalle sue fabbriche cinesi.

La costruzione di automobili con massiccio uso di componenti cinesi avrà pesanti conseguenze per i lavoratori dei Paesi occidentali. Si stima che  la Germania, un gigante nella produzione di automobili, entro il 2030 perderà 400.000 posti di lavoro nel settore. Secondo McKinsey negli Stati Uniti potrebbe essere eliminato fino al 30% dei posti di lavoro nel settore manifatturiero, infatti, se i componenti chiave verranno prodotti altrove, negli Stati Uniti e in Europa saranno necessari molti meno lavoratori. Non sorprende che alcuni politici europei stiano cercando di rallentare lo sviluppo delle auto elettriche proprio per paura di contraccolpi e reazioni molto forti a livello popolare.

Questa dinamica si riflette in tutta l’agenda della “sostenibilità”. L’aumento dei costi energetici in Occidente ha aiutato la Cina a espandere la propria quota di  esportazioni industriali fino a raggiungere quasi il livello di Stati Uniti, Germania e Giappone messi insieme, mentre l’industria americana è recentemente scesa al livello più basso dai tempi della pandemia. La crociata dell’Occidente contro le emissioni di anidride carbonica rende probabile lo spostamento di posti di lavoro, “verdi” o meno che siano, in Cina, che già emette più gas serra del resto del mondo industrializzato. Nel frattempo, mentre accade tutto questo, i leader cinesi stanno semplicemente cercando di adattarsi al cambiamento climatico, ma senza minare la crescita economica, e puntando a obiettivi di emissioni netti zero veramente poco plausibili.

Gli impatti di classe di queste politiche sono già ben evidenti. Gli Organi di controllo della California hanno recentemente ammesso che le severe leggi statali sul clima aiutano i ricchi ma danneggiano i poveri. Queste leggi hanno anche un impatto sproporzionato sui cittadini delle minoranze etniche, creando quello che l’avvocato Jennifer Hernandez ha definito “Jim Crow verde” (le leggi di Jim Crow furono provvedimenti dei singoli Stati americani volti a mantenere le leggi di segregazione razziale nd.t.) . Mentre la crescita tecnologica e industriale sempre più sofisticata della Cina è finanziata con gioia dai venture capitalist americani e da Wall Street, il tenore di vita della classe media occidentale si sta abbassando. L’Europa ha attraversato un decennio di stagnazione e l’aspettativa di vita americana è recentemente diminuita per la prima volta in tempo di pace. Eric Heymann della Deutsche Bank suggerisce che l’unico modo per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050 è quello di bloccare tutta la crescita futura, scelta che potrebbe avere effetti disastrosi sul tenore di vita della classe operaia e della classe media.

Invece dell’aspettativa di una mobilità verso l’alto, propria una volta della maggior parte della popolazione, ormai un’ampia percentuale di lavoratori occidentali si trova ad affrontare la prospettiva di vivere grazie all’assistenza sociale o di lavorare per salari bassi. Oggi, quasi la metà di tutti i lavoratori americani ha un salario basso e il futuro sembra ancora peggiore. Quasi due terzi di tutti i nuovi posti di lavoro creati negli ultimi mesi sono stati creati in industrie di servizi a bassa retribuzione. Questo vale anche per la Gran Bretagna. Negli ultimi decenni sono scomparsi molti lavori che un tempo potevano sostenere intere famiglie. Secondo un rapporto del Regno Unito, il lavoro autonomo e i lavoretti non bastano a garantire uno stile di vita ragionevolmente confortevole. Povertà e mancanza di cibo sono già in aumento. Di conseguenza, la maggior parte dei genitori negli Stati Uniti e altrove dubita che i loro figli potranno stare meglio della loro generazione, mentre la fiducia nelle istituzioni è scesa ai minimi storici.

I narratori di favole di giornali come il New York Times si sono convinti che la più grande minaccia alla prosperità sia il cambiamento climatico. Ma molte persone comuni sono molto più preoccupate degli effetti immediati della politica climatica che della prospettiva di un pianeta surriscaldato nel medio o lungo termine. Questa opposizione all’agenda emissioni zero è stata espressa per la prima volta nel 2018 dal movimento dei Gilet Jaunes in Francia, le cui proteste settimanali sono state inizialmente accese proprio dalle tasse verdi. Negli ultimi anni sono seguite le proteste degli agricoltori olandesi e di altri Paesi europei, arrabbiati per le restrizioni sui fertilizzanti che riducono la resa dei loro raccolti. Queste proteste hanno portato a un aumento del populismo in diversi Paesi, in particolare in Italia, Svezia e Francia. Anche a Berlino, nella terra dove tutto è esagerato, un recente referendum su obiettivi più severi in materia di emissioni non è riuscito a raggiungere il necessario quorum di votanti.

Si tratta di una lotta di classe mascherata dalla retorica verde. Le élite della finanza, dell’industria tecnologica e delle organizzazioni no-profit sono contrapposte a gruppi più numerosi ma meno organizzati di cittadini comuni. Molte di queste persone si guadagnano da vivere producendo o trasportando cibo e beni di prima necessità. Gli operai delle fabbriche, i camionisti e gli agricoltori, tutti interessati da massicce regolamentazioni ecologiche, hanno una concezione della sostenibilità molto diversa da quella delle élite aziendali urbane e dei loro dipendenti “woke”. I manifestanti francesi dei Gilets Jaunes hanno detto sinteticamente: “Le élite si preoccupano della fine del mondo. Noi ci preoccupiamo della fine del mese”.

Joel Kotkin

Secondo l’esperto analista democratico Ruy Teixeira queste discrepanze esistono anche negli Stati Uniti, Se i tentativi di eliminare i combustibili fossili possono entusiasmare i cittadini di San Francisco, sono certo visti con altri occhi a Bakersfield, il centro dell’industria petrolifera californiana, e in Texas, dove potrebbero andare persi fino a un milione di posti di lavoro ben retribuiti. Secondo un rapporto della Camera di Commercio, un divieto totale di fracking a livello nazionale, ampiamente sostenuto dai Verdi, costerebbe begli Stati Uniti un totale di 14 milioni di posti di lavoro, molto più degli otto milioni persi durante la Grande Recessione del 2007-2009.

Non stupisce quindi che i lavoratori non siano così entusiasti dell’agenda verde. Secondo un nuovo sondaggio di Monmouth, solo l’1% considera il clima la sua principale preoccupazione. Un nuovo sondaggio Gallup mostra che solo il 2% degli intervistati della classe operaia afferma di possedere attualmente un veicolo elettrico e solo il 9% dichiara di “prendere seriamente in considerazione ” la possibilità di acquistarne uno.

Queste preoccupazioni e questo malessere occidentale non sono nulla rispetto all’impatto che l’agenda della sostenibilità potrebbe avere sui Paesi in via di sviluppo. In queste nazioni ci sono circa 3,5 miliardi di persone che non hanno un accesso affidabile all’elettricità. Sono molto più vulnerabili di noi agli alti prezzi dell’energia e dei generi alimentari. In Paesi come l’Africa subsahariana, le esortazioni verdi contro le nuove tecnologie agricole, i combustibili fossili e l’energia nucleare minano ogni speranza di creare nuova ricchezza e posti di lavoro, di cui c’è grande bisogno. Non c’è da stupirsi che questi Paesi ignorino sempre più l’Occidente e guardino invece alla Cina, che li sta aiutando a costruire nuove centrali elettriche a combustibili fossili, idroelettriche e nucleari. Tutto questo è una spina nel fianco per molti verdi occidentali. A peggiorare le cose, l’UE sta già considerando l’ipotesi di imporre tasse sul carbonio alle importazioni, che potrebbero escludere i Paesi in via di sviluppo da ciò che resta dei mercati globali.

Il problema della produzione alimentare potrebbe avere un impatto ancora più critico, soprattutto per l’Africa subsahariana, dove secondo le Nazioni   sarà la maggior crescita demografica mondiale nei prossimi tre decenni. Questi Paesi hanno bisogno di maggiore produzione alimentare, sia interna che proveniente da Paesi ricchi come Stati Uniti, Paesi Bassi, Canada, Australia e Francia. E sappiamo bene cosa sia successo quando lo Sri Lanka adottò l’agenda della sostenibilità, che portò al collasso del settore agricolo del paese con conseguente violento rovesciamento del governo.

Bisogna ripensare l’agenda della sostenibilità. La tutela dell’ambiente non deve andare a scapito dell’occupazione e della crescita. Dovremmo anche aiutare i Paesi in via di sviluppo a raggiungere un futuro più prospero. Ciò significa finanziare tecnologie valide – gas, nucleare, idroelettrico – in grado di fornire l’energia affidabile che è fondamentale per lo sviluppo economico. È inutile proporre un programma che continua a impoverire i poveri.

Se non si affrontano le preoccupazioni della gente riguardo all’agenda verde, quasi certamente cercheranno di sconvolgere i meravigliosi piani delle nostre presunte élite illuminate. Come diceva Protagora, alla fine le persone sono ancora il metro di misura di ciò che accade nel mondo, che piaccia o meno a che si è autoconsacrato a guida del mondo. (da Wir Selbst)

@barbadilloit

Joel Kotkin - traduzione di Antonio Chimisso

Joel Kotkin - traduzione di Antonio Chimisso su Barbadillo.it

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