ilPost (di G.Cappelli). Perché vi consiglio “Il figlio del direttore” di Pallavicini

Il romanzo è una spassosa avventura a bordo di sportive tedesche, tra la Cote d’Azur e la provincia pavese

“Il figlio del direttore” di Piersandro Pallavicini

E dunque eccovi la nuova deliziosa lieta novella di Piersandro Pallavicini “Il figlio del direttore”, laddove il direttore è uno di quei padri energici e guasconi che noi che fummo giovani negli anni 70, e ancora negli anni 80, avemmo la fortuna/sfortuna di avere. Uno di quegli avventurosi artefici del Boom italiano, e del nostro particolare anche se satollo sfacelo. Già perché il figlio del direttore è, come da manuale, invece un timido irrisolto sessantenne che maschera le sue insicurezze dietro uno snobismo di facciata.

Proprietario di una raffinatissima libreria “modernaria”, che però oltre alle prime edizioni – dove il must sarebbe “Biglietti per gli amici” di Tondelli, edizioni Baskeerville ovviamente – vende, ed è il massimo della sofisticheria, anche cru francesi, champagne rarissimi, tartufo e altre prelibatezze, Michelangelo Borromeo, come si chiama questo benedetto figlio, è l’esatto contrario del padre crapulone, donnaiolo e guascone. Così timido da annotarsi per i suoi fallimentari contatti in società, un repertorio di battute talmente loffie che suscitano ilarità proprio per quanto sono loffie, avrebbe chiuso i conti col padre, oltrettutto defunto, senonché gli arriva un telefonata proprio dal genitore… e se ne capirà l’origine nel corso del romanzo che è una spassosa avventura a bordo di sportive tedesche, tra la Cote d’Azur e la provincia pavese in cui incontreremo, oltre a una lingua elegante se mai ce ne furono, vini sciccosi e indimenticbili personaggi di grana comica come il cafonissimo Gualtiero, una specie di malavitoso dal cuore d’oro che ricorda il Renato Cantabile de “Il dono di Humboldt”, micro-donne fatali, meschinissimi docenti universitari e, l’anello di congiunzione tra l’uomo e il teatrante, l’ineffabbile Pirlandello.
Anello di congiunzione inoltre – come si rivelerà nella sorprendente agnizione finale, cui grazie a lui si arriva – tra il figlio e il direttore, assai meno distanti di quello che apparivano all’inizio. Tutto nel solco della tradizione dell’arte ormai quasi dimenticata della commedia all’italiana. Evviva!
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Gaetano Cappelli

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