La fenomenologia dei 56 anni nelle morti mitiche: da Romolo a Dante Alighieri e Pascoli

Strane coincidenze, lasciatecelo dire. Che non possono spiegarsi solo asserendo che il 56 ha un che di magico, perché è il prodotto di un numero primo per il cubo di un altro numero primo (7 x 8), come sostiene chi crede a tali elucubrazioni cabalistiche

Dante Alighieri

Alla base di queste ‘strane’ riflessioni c’è Romolo, il primo re di Roma. C’è malgrado i tanti legittimi dubbi sulla sua esistenza, spesso negata o ribadita. C’è perché la sua biografia ufficiale, quella consegnata ai posteri, lo presenta come il Capo, politico, militare, religioso e, post mortem, il nume tutelare col nome di Quirino, il ‘guerriero’. Insomma, c’è Romolo perché è un modello per tutti i ‘cives Romani’. Soprattutto, per chi aspira ad avere un ruolo di leader popolare.

Un ‘novus Romulus’, infatti, è Publio Cornelio Scipione Emiliano: abile in battaglia, saggio nel governo, colto quanto basta. Anche Caio Giulio Cesare è un ‘novus Romulus’, dotato di enorme carisma, grande legislatore e riformatore religioso (suo il calendario ancora oggi vigente), nonché politico ambizioso.

A distanza di secoli, poi, Federico II di Svevia, lo ‘stupor mundi’, è anch’egli un ‘novus Romulus’: riforma il suo stato, ne rilancia la politica, è abile e scaltro condottiero, si scontra col Papa, guarda con interesse ad altri popoli, Arabi inclusi. Insomma, Romolo, Scipione, Cesare, Federico si collocano su una linea di continuità, che giunge sino al tardo Medioevo. E che, nell’Antichità, si innesta su un dato fondamentale: l’età della morte, anzi alla morte.

La tradizione non tramanda a quanti anni muore Romolo, ma, poiché ha fondato la Città ad appena 18 anni ed è morto dopo 38 anni di regno, ne deduciamo che sia scomparso a 56 anni, il 717 a. C., se l’anno di fondazione di Roma (il 753 a. C.) calcolato da Varrone è esatto. 56 anni: non più giovane, non ancora vecchio, insomma. Per un popolo di soldati, che praticano l’esercizio fisico quotidianamente, come i Romani, a 56 anni si è ancora abili ed attivi; certo non ‘senes’, vecchi, il cui etimo è nel numerale latino ‘sexaginta’ (60).

È singolare notare, a questo punto, che a 56 anni muoiano altri romani illustri: Plinio il vecchio (23 – 79 d. C.) e san Paolo (sì, proprio l’Apostolo delle Genti, che, non dimentichiamolo, era un ‘civis Romanus’, nato l’8 d. C. e morto il 64, secondo i calcoli della Chiesa). E, a distanza di secoli, oltre a Federico II, Dante Alighieri (1265 – 1321). Certo, ognuno di questi muore in circostanze diverse. Ed anche con modalità differenti. Ma, al momento della morte, a detta di fonti, storiche e leggendarie, avevano tutti, quelli sopra citati, compiuto i 56 anni. Che diventano, a chi consideri da un’angolazione meno ovvia quegli anni, un’età canonica, quasi a segnare la conclusione di un ciclo. Della vita o del ruolo, non ha importanza. Insomma, sembra che, per biografi e cronisti antichi e medievali, un personaggio ‘mitico’ debba morire cinquantaseienne.

Per l’epoca, del resto, rispettare tempi e modi della realtà storica non era un problema né uno scrupolo professionale. Lo confermava Alessandro Magno, famoso per esser morto a 33 anni, età, più tardi, attribuita anche a Cristo, che di anni, però, alla sua morte, ne aveva qualcuno in più. Sembra così che una sorta di ‘reductio ad unum’, cioè ad un modello ben preciso, spinga gli scrittori antichi a manipolare dati biografici effettivi con molta disinvoltura. La ricerca storica seria ed attendibile, del resto, sostiene che Cesare sia nato qualche anno prima della data ufficiale (il 100 a. c.); Plinio il vecchio sia vissuto un po’ di più mentre Scipione poco meno di quanto tramandato; che si debba anticipare di un biennio la data di nascita di Federico II di Svevia e pure quella di Dante Alighieri. Quindi, a prevalere, è la volontà di uniformare ai canonici 56 anni la morte di coloro che siano dei ‘miti’ per l’opinione pubblica. Morte che, inoltre, non può non essere misteriosa e violenta. Come quella di Romolo, avvenuta durante una tempesta improvvisa o, più realisticamente, in una congiura. L’ipotesi di una morte violenta è suggerita, implicitamente, per Scipione Emiliano, trovato sgozzato nel suo letto; mentre Cesare, si sa, è stato pugnalato nella Curia da una ventina di traditori; Plinio il vecchio, poi, pare si sia lasciato uccidere sul litorale di Stabia da un paio di servi, di cui non si conosce che fine abbiano fatto. San Paolo, eroico combattente della Fede, invece, muore in maniera violenta e misteriosa perché lui, un ‘civis Romanus’, per le leggi dell’epoca, non poteva essere decapitato.

Del resto, Federico II spira misteriosamente nella notte del 13 dicembre 1250 dopo aver ricevuto la visita del figlio ‘bastardo’ (in tutti i sensi) Manfredi; e Dante Alighieri, la cui buona salute gli aveva consentito di affrontare, solo qualche giorno prima, un viaggio faticoso e pericoloso da Venezia, scompare anch’egli improvvisamente la notte del 21 settembre del 1321. Strane coincidenze, lasciatecelo dire. Che non possono spiegarsi solo asserendo che il 56 ha un che di magico, perché è il prodotto di un numero primo per il cubo di un altro numero primo (7 x 8), come sostiene chi crede a tali elucubrazioni cabalistiche.

Comunque sia, c’è di assodato che 56 anni, per i Romani, rappresentano l’ultima fase della maturità. Si può ancora svolgere attività politica, militare ed amministrativa, insegnare, persino sposarsi (è il caso di Cicerone, che, sessantenne, prende in moglie una ragazza, Publilia). È presto, insomma, per andare in quiescenza. Tuttavia, dopo il 1321, anno della morte del cinquantaseienne Dante, i personaggi mitici non muoiono più a quell’età. Il ‘numero del mito’ scompare. Chissà perché. Né torna utile a riguardo ricordare che l’8 aprile del 1912 muore di cirrosi Giovanni Pascoli. Che non era un guerriero né un leader né un legislatore. ‘Solo’ un Poeta. Ma aveva appena compiuto 56 anni…

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Nicola Fiorino Tucci

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