La Gran Bretagna, i marmi reclamati e le restituzioni come beni in affitto

I britannici alle prese con la querelle dei reclami di opere d'arte esposte nei musei del Regno Unito

Marmi del Partenone

L’irriconoscibile Boris vantava sicurezza già da giovane. A colloquio con il ministro della cultura greco Melina Mercouri sosteneva con vigore che i marmi esposti al British museum andavano restituiti al legittimo proprietario. Helena Smith su The Guardian 18 dicembre 2021:  “(…) Lo si rileva da un articolo del 1986 rinvenuto in una biblioteca di Oxford in cui l’allora studente di lettere classiche sosteneva appassionatamente il loro ritorno ad Atene. Usando un linguaggio che renderebbe orgogliosi gli attivisti pro restituzione, Johnson non solo credeva che le antichità del V secolo a.C. dovessero essere restituite a chi appartengono”, ma deplorava il modo in cui erano state “segate e tagliate” dall’edificio magistrale che un tempo adornavano.

“I marmi di Elgin dovrebbero abbandonare questa northern whisky-drinking guilt-culture, ed essere esposti in un paese di sole splendente, nel paesaggio di Achille, tra “le montagne ombrose e il mare echeggiante”, scriveva BoJo nell’articolo, ripubblicato dal quotidiano greco Ta Ne”.

Da Il Post.it dell’8 agosto 2022: “L’Horniman Museum di Londra ha annunciato che restituirà alla Nigeria 72 manufatti preziosi che erano stati saccheggiati dalle forze britanniche nel 1897 nell’attuale Benin City, in Nigeria. All’inizio dell’anno il governo nigeriano aveva chiesto che venissero restituiti i molti oggetti dall’enorme valore culturale che negli anni erano stati sottratti al paese: la stima parla di circa 10 mila reperti, conservati in 165 musei e collezioni private in tutto il mondo.
L’Horniman Museum è la prima istituzione finanziata dal governo britannico a farlo, e la sua decisione potrebbe avere un valore simbolico importante: la maggior parte degli oggetti sottratti alla Nigeria, circa 900, si trova infatti al British Museum di Londra, uno dei musei di storia più importanti al mondo e che come l’Horniman è finanziato dal governo. Il British Museum però si è sempre rifiutato di restituire la collezione, ricevendo molte critiche da parte di diversi storici e attivisti.” La diatriba monta. Siamo ai ferri corti, si temono tumulti, si fa per dire.
Da una intervista di Andrea Bonazza del 6 dicembre 2022 su il primatonazionale.it al giornalista e scrittore Alberto Samonà, assessore regionale ai Beni culturali e all’identità siciliana.
Domanda: “Nella Seconda guerra mondiale dall’Italia furono trafugate moltissime opere, soprattutto da mano statunitense. Quanto è importante un loro ritorno in Patria?”
Risposta: “Direi che è di rilevanza assoluta. Il dialogo fra Stati oggi dovrebbe essere incentrato sulla cultura. Dare la possibilità che rientrino in Patria importanti testimonianze storico-artistiche diventate bottino di guerra, fatte sparire e poi riapparse in vari Paesi e Oltreoceano, è un gesto di civiltà, ma anche presupposto per rimarginare ferite ancora aperte e consegnare episodi disdicevoli definitivamente alla storia. Purtroppo la lista di opere d’arte trafugate in varie epoche storiche è lunga.”
“Il gioco è finito”, lo dice anche Dan Hicks, professore di archeologia contemporanea all’Università di Oxford, che riporta a sostegno delle sue tesi anche i commenti di Tristram Hunt, direttore del Victoria & Albert museum, secondo il quale occorrerebbe mettere mano in toto alle leggi che vietano ai musei di restituire le opere d’arte. Secondo Mike Pitts, archeologo: “il British Museum sostiene di non avere nulla in contrario al trasferimento di materiale verso il paese di origine delle opere e non sembra porre limiti alla durata del prestito. Quindi è ipotizzabile che una parte davvero significativa della collezione del Partenone possa finire effettivamente in esposizione permanente ad Atene… Ma come prestito, non in veste di manufatto che ha mutato proprietà…” Hai capito la furbata? Artribune: “Nel 2014, Mark Walker, un consulente medico britannico pensionato, ha restituito due sculture rubate da suo nonno durante l’assedio del 1897 nel Benin. Poi è stato il turno dell’Università di Aberdeen, in Scozia, che aveva acquistato una testa di Oba, il sovrano del Benin, e del Jesus College dell’Università di Cambridge, che aveva ricevuto un gallo di bronzo in dono dal padre di uno studente nel lontano 1905. Anche la Germania, una delle principali destinazioni delle opere, ha chiesto ai musei un elenco dettagliato per restituire tutti i bronzi arrivati attraverso il commercio d’arte. Lode alla sensibilità etica di persone e istituzioni. Quasi il 60% dei Britannici ora pensa che i marmi del Partenone debbano ritornare alla Grecia, mentre il 18% pensa il contrario. 
Fra questi ultimi c’è qualcuno che avanza ipotesi alternative, ad esempio: perché non sostenere il principio di reciprocità? Proponendo un prestito incrociato: affidare opere in esposizione di Blake, Turner, Contabile, Leighton, Millais ai musei del Gabon, del Benin, della Grecia o del Cairo. Non sarebbe più intelligente pensare a nuove forme di interazione culturale con ricadute economiche per il paese d’origine al quale appartengono? Le opere trafugate esposte nei musei londinesi sono fonte di attrazione e ricchezza per i Brits, perché non coinvolgere con compensi economici adeguati i paesi interessati? Non si scandalizzino i direttori dei musei del Sudan o della Nigeria, che a gran voce esclamano: “a ridatece a robba! è ‘nostra!!” A Londra arrivano a vagonate gli estimatori dei loro reperti. Sarebbe a dire: Hai visto quali meraviglie puoi trovare in Grecia, Messico, India, Cina, Benin, Italia, a Londra in vetrina, al British museum c’è solo un assaggio.
Oppure proporre a istituzioni, musei, governi e privati collezionisti sparsi nel mondo di “prestare” una, due opere a loro scelta ai Brits facendo rinascere il loro antico fervore nel proteggere opere di altri paesi. Pensa che gli inglesi una volta facevano copie di statue, monumenti funebri e brani di chiostro sino a riprodurre la colonna traiana, che poi han tagliato a metà per via che era troppo alta. Garantisco che ci san fare. Una globalizzazione dell’arte ma questa volta intelligente e proficua per tutti. I Brits ne andrebbero fieri e si farebbero in quattro, perché capaci di edificare un secondo e terzo British Museum, promuovendo davvero il museo del mondo per il mondo, come era nelle loro intenzioni pregresse. Essi vedrebbero nuove possibilità di business -a loro importa quello- ma questa volta da condividere. E le opere rimarrebbero di proprietà di chi le ha date in prestito.

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Lorenzo Ferrara

Lorenzo Ferrara su Barbadillo.it

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