Addio a Benedetto XVI patriota della Fede

Potremmo altresì sottilineare la discontinuità forte, formale, contenutistica, tra il pontificato di Papa Ratzinger e quello di Papa Bergoglio. Una differenza chiara nell’approccio pastorale, in quello comunicativo e, in parte, in ambito magisteriale

Benedetto XVI

S.S. Benedetto XVI, il Papa Emerito (autonominato) Joseph Aloisius Ratzinger, se ne è andato il 31 dicembre dalla vita, al termine di una non breve agonia, ma ‘lucido e vigile’ sino all’ultimo, è stato scritto, a 95 anni, quasi dieci dopo la sua clamorosa rinuncia a guidare la Chiesa Cattolica quale successore di Giovanni Paolo II, dal 19 aprile 2005 al 28 febbraio 2013. Non essendo un redattore di giornali conservo qualche appunto, citazioni, ‘ritagli’, ma non avevo il ‘coccodrillo’ pronto, eppure mi sembra che qualche ricordo, suggestione, spunto di riflessione, interrogativo, devo pur condividerli ora con qualche paziente lettore nel momento della dipartita di un uomo buono e saggio, non aspirando, peraltro, ad alcuna originalità. Con una premessa doverosa. Sono di educazione cattolica, come tanti italiani della mia generazione, ovviamente rispettoso del nostro passato e pure verso i credenti di oggi, ma agnostico da quasi 60 anni, non nemico, ma neanche particolarmente indulgente verso la nostra tradizione religiosa, sociale, culturale, le ‘strutture’ canoniche e temporali della Chiesa Romana, al di là di interpretazioni teologiche e filosofiche,  dogmi,  dottrina, verità di Fede stabilite da pontefici e concilî lungo due mila anni di storia del cristianesimo o di una parte consistente del cristianesimo occidentale.

Nel 2020 vide la luce l’opera ponderosa (oltre 1.200 pagine) di un giornalista bavarese, Peter Seewald, Benedetto XVI. Una vita (trad. ital. Garzanti). In essa il Papa emerito racconta al suo biografo di non essersi dimesso per lo scandalo Vatileaks: “Uno non si può dimettere quando le cose non sono a posto, ma può farlo solo quando tutto è tranquillo”. Gli confida Benedetto: «Io ho potuto dimettermi proprio perché riguardo a quella vicenda era tornata la serenità”. Anche se, come nota Massimo Franco in una recensione ‘Benedetto XVI, la biografia: l’enigma e le ragioni di una scelta storica’, sul Corriere della Sera del 16.12.2020:

 “Nonostante oltre duecento siano dedicate alla preparazione e alla spiegazione della sua rinuncia, alla fine rimane un alone di mistero sui veri motivi che l’hanno provocata;  sullo sfondo le tensioni continue tra il Segretario di Stato di allora, il controverso Tarcisio Bertone, e la cerchia papale, il segretario personale del Papa, monsignor Georg Gänswein, ed i cardinali vicini al Papa; l’arcivescovo 

di Milano, Angelo Scola, e quello di Colonia, Joachim Meisner, gli chiesero di sostituirlo”. 

Invano, come sappiamo: Papa Ratzinger sempre difese il cardinal Bertone. Nota Massimo Franco: 

“Attraverso le lenti critiche degli ultimi anni del papato, si ha una descrizione densa e informata di una vita coerente e insieme tormentata da una stanchezza quasi esistenziale: col dubbio di dovere compiere un gesto che pure contraddiceva il profilo di Ratzinger, innovatore nella lettura dei tempi, ma rigoroso e ortodosso sul piano della teologia. La traiettoria della sua vita è quella di un tedesco figlio dell’Europa e dell’Occidente, che interiorizza e riflette l’identità e le contraddizioni del Vecchio Continente”. 

 

Il libro comincia con la nascita del futuro papa, figlio del gendarme Joseph Ratzinger: un poliziotto che veglia sul piccolo borgo di Markt, nell’Alta Baviera. La madre Maria Peintner, sudtirolese di Muhlbach (dal 1918 Rio di Pusteria, diventato italiano) ha 43 anni e partorisce nella stazione di polizia che si affaccia sulla piazza del mercato, il 15 aprile del 1927. Joseph Aloisius arriva dopo una bambina, Maria Theogona, ed il fratello Georg, anch’egli sacerdote. Il padre ha già 50 anni. Da quel paesino ed altri successivi Joseph attraversa i drammi della Seconda Guerra Mondiale, compreso l’arruolamento obbligatorio e la partecipazione al conflitto, poi entra in seminario al Georgianum di Monaco, si appassiona alla teologia; nel 1949 approda all’Università Ludwig Maximilian di Monaco. Ordinato prete nel 1951, le sue doti di studioso emersero rapidamente, anche se all’inizio venne accusato di «modernismo». Ratzinger è andato in cattedra in più atenei: Monaco, Frisinga, Münster, Bonn, Tubinga, Ratisbona. Dal 1962 egli è al Concilio Vaticano II come perito ed acquisisce fama di riformatore, oltreché di teologo solido e raffinato. Pochi mesi dopo la nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga, nel 1977, Paolo VI lo crea cardinale. Nel 1981 Giovanni Paolo II lo nomina prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio). Ama suonare Mozart al pianoforte, è colto, fine, pacato e benvoluto.

Alla fine del lungo pontificato di Giovanni Paolo II, nel 2005, la figura del cardinale Ratzinger, che gli fu vicino più di altri, emerge con decisione quale probabile successore.  Nell’Omelia della Santa Messa pro eligendo Romano Pontifice del 18 aprile 2005, il giorno precedente l’elezione al soglio di Pietro, afferma Joseph Ratzinger:

“Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode di pensiero. La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticimo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore. Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. Adulta non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo”.  (L’Osservatore Romano, 19 aprile 2005).

Diventato Papa come Benedetto XVI, alla quarta votazione, con un ampio consenso nel Sacro Collegio, le sue critiche alla ‘dittatura del relativismo’ ne fanno da subito, per molti media progressisti, un rappresentante non solo della ‘destra curiale’, ma della Chiesa conservatrice, un pontefice inquisitore alla San Pio V, transitato dal Sant’Uffizio alla Cattedra di Pietro. Non casualmente titola Il Manifesto, sotto la fotografia del neo-eletto benedicente dalla Loggia: ‘Il pastore tedesco’. E per la verità, durante anni, Papa Ratzinger è stato, quasi involontariamente, come una bandiera di riferimento di quell’universo variegato di storici, filosofi e teologi che si dichiarano “difensori della tradizione” ed avversari della “dittatura del relativismo”. 

Il suo pontificato si collocherà, comunque, a parte qualche incidente di percorso – come gli accenni poco opportuni a Maometto nella Lectio Magistralis di Ratisbona (2006) – nell’alveo tracciato dal suo popolare e mediatico predecessore, anche se lui, timido di carattere, non ne ha ereditato il carisma decisionista, la facilità di comunicazione. Attivo e scrupoloso sempre, egli rimarrà una sorta di docente illustre che non riesce a trasmettere compiutamente la sua sapienza. Per di più un tedesco, che deve caricare con la ‘colpa storica’ del nazismo della sua patria. 

Una scelta (peraltro discutibile), quella dello stemma personale, nel quale la tiara è rimossa a favore di una mitra vescovile, dopo secoli, dovrebbe, in ogni caso, suggerire che Papa Benedetto amerà forse i dettagli eleganti – dalle morbide scarpe in pelle rossa ai gemelli ed orologio d’oro, alle pianete dorate, al camauro d’ermellino, come già Giovanni XXIII – ma che sicuramente non intende far girare all’indietro le lancette del Vaticano e della Chiesa. Non attirandosi, in ogni caso, le simpatie dei ‘progressisti’ e, poco alla volta, perdendo pure quelle dei ‘tradizionalisti’, della destra identitaria, una galassia composita e talora bizzarra, alla quale Ratzinger non è mai appartenuto, ma dove le continue gaffes, improvvisazioni, orientamenti del suo successore, che in tutto mette becco, a partire dalla politica italiana, l’avevano pur collocato.

L’11 febbraio 2013 la bomba scoppia! Papa Benedetto annuncia, in latino, le sue dimissioni. Gli succederà un argentino di origine italiana, Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, gesuita furbo, un carattere aspro e franco, disinvolto affabulatore che affronta ogni argomento, non molto ferrato teologicamente, amante di superficiali gesti demagogici e pauperistici, alla Paolo VI e peggio, ideologicamente sempre contro qualsiasi destra (o sospetto di destra, Stati Uniti e Trump compresi) e per tutte le sinistre, innamorato della Cina… 

Quando Papa Francesco uscì dalla Loggia delle Benedizioni, subito dopo l’elezione, il 13 

marzo 2013, con la talare bianca, non portava la mozzetta rossa, una mezza mantella  che copre solo le spalle. Si trattava di una rottura della tradizione, oltre al nome scelto, mai usato da nessun predecessore. Perché i Papi vestono di bianco e di rosso da secoli, secondo un universo simbolico affermatosi in epoca carolingia e poi codificato. Mozzetta e stola papale. Il tutto si rifà all’uso del bianco e rosso, colori distintivi della dignità pontificia, quel processo di imitatio imperii del vescovo di Roma, sin dall’epoca costantiniana. Bergoglio el pampero pare voler troncare le radici con le mediazioni greco-romane, il mondo classico, tornare ad una religione semplice, abramitica.

Situazione paradossale, quella dal 2013 ad ora, con due Papi dimoranti a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, essendo l’ufficio di Papa monocratico per definizione. Papa Ratzinger era il 265mo Romano Pontefice, Successore del Principe degli Apostoli e Vicario di Cristo, non solo Vescovo di Roma e Sovrano, assoluto, dello Stato della Città del Vaticano, oltre a vari altri titoli – che l’Annuario Pontificio riporta dal 1912 – anche se il titolo di Patriarca d’Occidente fu  abbandonato proprio da Benedetto XVI nel 2005, in un tentativo di riavvicinamento con le Chiese separate. Paradossale in quanto Benedetto XVI, con la rinuncia volontaria al Pontificato, non è tornato cardinale o vescovo, come sarebbe stato logico, ma si è ritagliato una dimensione inedita di ‘Papa Emerito’, con i suoi spazi garantiti, presidiati, e con annessi ‘comodi’. Vive, infatti, all’interno del Vaticano, nel monastero Mater Ecclesiae, con il segretario personale di sempre, Georg Gänswein, vari addetti alla sua persona, fa le vacanze a Castel Gandolfo, scrive, pubblica, riceve ospiti e talora viaggia, almeno fino a che la vecchiaia glielo permette. Da ultimo, si sceglie persino la tomba nelle Grotte Vaticane, che già fu occupata dal sarcofago di Papa Wojtyła, prima della canonizzazione… Un papa vivo che sotterra un papa morto. Una situazione non solo del tutto nuova, pure un po’ paradossale, inquietante.

Già nel 2010 nel saggio Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Torino, Lindau, pp. 589), Roberto de Mattei, Presidente della Fondazione Lepanto, direttore della rivista “Radici Cristiane”, docente di Storia del Cristianesimo e della Chiesa presso l’ Università Europea di Roma, Vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (fino al 2011) aveva proposto una ampia, documentata lettura tradizionalista dell’ evento conciliare: “Una delle maggiori calamità, se non la maggiore della storia della Chiesa”, come aveva già affermato Plinio Côrrea de Oliveira, 

filosofo reazionario brasiliano, fondatore del Movimento Tradizione-Famiglia-Proprietà, 

ispiratore di de Mattei stesso. Scrisse Alberto Melloni sul Corriere della Sera del 12.12.2010, ‘Per la tradizione, contro Pio XII’, recensendo l’opera:

“Il problema del Concilio non sono stati i padri, o Papa Giovanni e nemmeno Paolo VI (visto non come 

un uomo amletico, ma come il più subdolo e tenace dei maritainiani). Ma è stato Pio XII. Pio XII? diranno i miei 25 lettori. Pio XII, certo: è lui che avrebbe potuto continuare la lotta contro il modernismo, sintesi di tutte le eresie nella visione di Papa Sarto. È lui che doveva resistere all’ idea che la ‘cosiddetta repressione’ andasse mitigata o abbandonata. È stato lui che, anziché dar corda al gruppo romano fedele (alla tradizione, naturalmente), ha permesso l’ infiltrazione del liturgismo, del biblicismo, dell’ ecumenismo e reso alla fine perfino poco efficaci quei conservatori che al Concilio, pur avendo tutte le ragioni e nessun torto, hanno fallito nel compito di salvare la Chiesa, lasciando agli atti una testimonianza di sé – Ruffini, Carli, Siri – per de Mattei nobile, ma anche deludente…”.

Pochi giorni prima di Natale 2017 era stata diffusa la prefazione di Joseph Ratzinger al volume Il Dio Trino. Fede cristiana nell’era secolare, pubblicato in Germania in occasione dei 70 anni del cardinale e teologo Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. L’ottavo papa tedesco lodava quanto compiuto da Müller, dicendogli: “Hai difeso le chiare tradizioni della fede, ma nello spirito di Papa Francesco hai anche cercato di capire come possano essere vissute oggi”. Il 3 gennaio 2018 scriveva il vaticanista e docente Francesco 

Gnagni: ‘Ecco come i tradizionalisti ora attaccano, dopo Bergoglio, anche Ratzinger’.

“Dopo le continue accuse del mondo tradizionalista a Papa Francesco, la novità, emersa nelle ultime ore, è che gli stessi attacchi hanno adesso intrapreso una nuova e inaspettata direzione, rivolta a Benedetto XVI, fino a quel momento utilizzato come bandiera di riferimento di quell’universo di filosofi e teologi che si dichiarano ‘difensori della tradizione’ e avversari della ‘dittatura del relativismo’. Le critiche vengono espresse in un testo del teologo Enrico Maria Radaelli Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo. Nel libro l’autore si propone di controbattere uno per uno gli insegnamenti dell’antico professore di Tubinga Joseph Ratzinger, ‘a partire dal suo metodo storicistico’, che ritiene profondamente erronei, pericolosi per la fede come solo una sintesi delle dottrine moderniste. In particolare, la critica formulata nella pubblicazione è rivolta a uno dei testi di riferimento di Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, raccolta di lezioni tenute nel ’68 dall’allora professore di teologia all’università di Tubinga, che ebbe fin da subito una notevole diffusione su scala internazionale”. 

All’attacco diretto del professor Radaelli, argomentava Gnagni, si è poi aggiunto anche quello di don Antonio Livi, teologo e docente della Lateranense, maître à penser di autori e pubblicazioni ostili a Papa Francesco:

“l’egemonia (prima di fatto e poi di diritto) della teologia progressista nelle strutture di magistero e di governo della Chiesa cattolica si deve anche e forse soprattutto agli insegnamenti di Joseph Ratzinger professore, che mai sono stati negati e nemmeno superati da Joseph Ratzinger vescovo, cardinale e papa. Una teologia di stampo immanentistico, nella quale tutti i termini tradizionali del dogma cattolico restano linguisticamente inalterati, ma la loro comprensione è cambiata. Dove per di più vengono messi da parte, perché ritenuti oggi incomprensibili, gli schemi concettuali propri della Scrittura, dei Padri e del Magistero, e i dogmi della fede sono re-interpretati con gli schemi concettuali propri del soggettivismo moderno”.    (https://formiche.net/2018/01/tradizionalisti-ora-puntano-benedetto-xvi)

Cioè un’opposizione non solo al pontefice attuale ed a Ratzinger, ma anche ai suoi predecessori ed in ultima analisi al Concilio Vaticano II, come sostenuto, tra gli altri, da Rocco Buttiglione. Per il vaticanista de La Stampa Andrea Tornielli:

“Le posizioni espresse da molti degli esponenti legati al mondo cattolico-tradizionalista risultano ben chiare ed evidenti nel momento in cui si scorrono le pagine di molti dei loro siti di riferimento, dove viene 

affermata con certezza la propria identità di ‘preconciliari’. Radaelli è ‘allievo e interprete di Romano Amerio, autore del libro Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX, nel 

quale si sosteneva la presenza del modernismo teologico nella costituzione conciliare Gaudium et spes 

e in altri testi del Vaticano II”. 

(https://www.linkiesta.it/2017/08/ecco-perche-papa-ratzinger-e-diventato-il-simbolo-degli-oppositori-di)

La posizione del luganese Romano Amerio, pure per il noto vaticanista de L’Espresso, Sandro Magister, costituisce “la più sistematica e argomentata accusa contro la Chiesa Cattolica della seconda metà del Novecento di aver sovvertito i fondamenti della dottrina in nome del soggettivismo moderno”.

Molto altro si potrebbe, naturalmente, aggiungere sul gran personaggio ora scomparso, sulla sua cultura, smisurata erudizione e sensibilità teologica. Sul suo esprit de finesse. Circa il suo ruolo, pur discusso, avuto nella storia della Chiesa. Potremmo altresì sottilineare la discontinuità forte, formale, contenutistica, tra il pontificato di Papa Ratzinger e quello di Papa Bergoglio. Una differenza chiara nell’approccio pastorale, in quello comunicativo e, in parte, in ambito magisteriale. “Chiesa dai saldi principi, ma ben in grado di dialogare con un mondo di cui denuncia la deriva relativista e nichilista (dunque, contro la persona umana) quella di Benedetto XVI; Chiesa dai principi fluidi in materia di vita e di famiglia, dove domina il discernimento caso per caso, quella di Francesco”, secondo il vaticanista  svizzero Giuseppe Rusconi, autore del blog www.rossoporpora.org. Una Chiesa smagrita e, tuttavia, poco rispettosa del fedele comune, quello che vorrebbe sposarsi o far battezzare i figli senza mesi di corso propedeutico, ed arrogante; oggi non dilaniata da differenti visioni, polemiche alte sulla Verità e l’Assoluto, la Grazia, le Opere e la Salvezza – con poche eccezioni – ma impantanata in una avvilente, diffusa decadenza e mediocrità, sempre più abborracciata e stinta in un ecumenismo facilone, ignorante; approssimativa nelle liturgie, talora diventate grottesche (ah, lo sperimentalismo liturgico!), assente o in fuga da sé medesima. Il famoso teologo Hans Urs von Balthasar lo aveva anticipato: sarebbe giunta una “neo-Chiesa dilettantesca e smemorata”. 

Torneremmo, quasi inevitabilmente, gira e rigira, ad argomentazioni pro o contro il Liberalismo e soprattutto il Modernismo Teologico, un ripensamento del messaggio cristiano alla luce delle istanze della società contemporanea, permeata dalla scienza. ‘Sintesi di tutte le eresie’, condannato da Pio X con l’enciclica Pascendi Dominici gregis del 1907; a quelle ragioni/differenti interpretazioni della Scritture, del Magistero, della Rivelazione, della Redenzione, dei Sacramenti, che dettero vita allo scisma di Monsignor Marcel Lefebvre, nel 1968, al suo rifiuto delle conclusioni del Concilio Vaticano II ed alla nascita della Fraternità Sacerdotale San Pio X, sopravvissuta fino ai giorni nostri, in parte riconciliatasi con la Santa Sede. 

Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

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