Se Enrico Mattei per gli americani (nel 1955) era un “fascista”

E' quanto si legge in un dispaccio dell'ambasciata statunitense a Roma, datato 11 agosto 1955 e parte dei documenti desecretati nei giorni scorsi dalla Cia nell'ambito dell'inchiesta dell'omicidio di John F. Kennedy

Enrico Mattei

Enrico Mattei “era stato fascista fino al 1943 ed era entrato nella Resistenza dopo l’8 settembre di quell’anno, stando però attento a mantenere buoni rapporti con i tedeschi: quando divenne chiaro che la vittoria alleata era ormai certa pagò cinque milioni di lire a un comandante partigiano della Democrazia Cristiana per acquisire il rango di capo partigiano della Dc e generale della Resistenza nel CNL”: è quanto si legge in un dispaccio dell’ambasciata statunitense a Roma, datato 11 agosto 1955 e parte dei documenti desecretati nei giorni scorsi dalla Cia nell’ambito dell’inchiesta dell’omicidio di John F. Kennedy. Il documento – che cita “fonti bene informate” – fornisce una descrizione delle attività americane in corso per favorire l’industria petrolifera statunitense, interessata allo sfruttamento delle riserve italiane. Il dispaccio è stato oggetto di un articolo su Repubblica.

Se sotto il governo Scelba la posizione di Roma e delle compagnie italiane era stata tutto sommato favorevole – con la sola ENI di Mattei rimasta appunto contraria – la caduta dell’esecutivo di destra aveva provocato un cambiamento di politica per cui tutte le aziende italiane presentavano adesso un fronte unito contro gli obbiettivi delle “sette sorelle” americane, nota il documento. Il deus ex machina di questa vicenda, secondo le fonti, sarebbe stato l’allora vicedirettore generale degli affari politici del Ministero degli Esteri, Remigio Grillo, definito “un ex squadrista e protetto di Galeazzo Ciano, tramite il quale ha fatto carriera”

Lo stesso Grillo si sarebbe preoccupato di intessere rapporti cordiali con l’ambasciatrice americana a Roma, Claire Booth Luce (Repubblicana designata dall’Amministrazione Eisenhower), nominata di recente, in modo da tenere d’occhio la politica statunitense nel settore – una strategia adottata secondo il documento in una segretissima riunione a casa del principe Valerio Junio Borghese. Luce (nota per le maniere spesso imperiose con cui trasmetteva le pressioni anticomuniste di Washington) aveva avviato una vigorosa campagna a favore delle compagnie statunitensi ma con il nuovo governo presieduto da Mario Segni aveva dovuto moderare le proprie attività. I responsabili delle aziende petrolifere italiane – a conoscenza del fatto che gli americani avevano finanziato la destra nelle recenti elezioni siciliane, scrive il dispaccio – temevano che con un “massiccio ricorso al dollaro” le sette sorelle avrebbero finto per “demolire ogni resistenza italiana”.

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