Cyberpunk Edgerunners, un mercenario nei vicoli di Night City

Quest’anime è uno spin-off/prequel del videogioco Cyberpunk 2077, sparatutto RPG sviluppato proprio dalla CD Project RED e pubblicato nel 2020

Cyberpunk Edgerunners

Anno 2076, siamo in un futuro non troppo lontano, in un mondo decadente, ipertecnologico, controllato da due grandi corporazioni. La ricchezza e i privilegi di pochi si scontrano con la povertà di chi costituisce il gradino più basso della società: coloro che vivono ai margini, i ribelli, i sognatori. Il protagonista è uno di loro, un ragazzo che ha imparato prima del tempo a farsi strada nei vicoli di Night City, diventando un mercenario, un cyberpunk.

Parliamo dell’ultima opera dello studio Trigger e CD Project: Cyberpunk Edgerunners. Come si intuirà dal nome quest’anime è uno spin-off/prequel del videogioco Cyberpunk 2077, sparatutto RPG sviluppato proprio dalla CD Project RED e pubblicato nel 2020. Nonostante la storia infelice di questo titolo (poche vendite iniziali e cause legali) ci ritroviamo a distanza di due anni con un prodotto di qualità, distribuito dal colosso Netflix. 

Il regista è proprio Hiroyuki Imaishi, il quale ha lavorato a piccole grandi perle come Kill La Kill, Promare, Sfondamento dei Cieli Gurren Lagann. Ed è proprio lo stile Trigger ad essere immediatamente percepito, caratterizzato da un’animazione frenetica, scene d’azione incessanti e perfettamente fluide, colori esagerati, personaggi spesso deformed.

E se da un lato a colpire lo spettatore è lo stile d’animazione, dall’altro notevole è la scelta musicale, con la sigla di apertura affidata ai Franz Ferdinand. Una piacevole sorpresa, che non deve troppo stupire dopo lo splendido lavoro realizzato per un altro prodotto d’animazione: Paradise Kiss, ispirato all’omonimo manga della Yazawa.

Quel rock alternativo, post punk che ben si adatta all’underground di Night City e ancor di più al tech, al virtuale. Spazi immensi, artificiali, con grattacieli colmi di luci e una tecnologia assai avanzata dove internet è molto di più di una rete pubblica. Parliamo di un sistema informatico con uno spazio virtuale ben definito, considerato a tutti gli effetti una realtà, in quanto percepito come reale. È in fondo il Metaverso? Tutto ciò che è impossibile nella vita reale diventa realizzabile in uno spazio alternativo, cibernetico: l’haking fa da padrone e ad esso si affianca la tecnologia dell’innesto. Se ora parliamo di AR glasses, in un futuro prossimo, come quello di Cyberpunk Edgerunners, vediamo come a frapporsi tra i nostri occhi e il mondo circostante è proprio una macchina. Noi stessi diventiamo macchina: il corpo umano diventa oggetto di modifiche, assume connotati innaturali, assurge al potenziamento. Questa alterazione però non è scevra da possibili rischi e danni. Cambiare se stessi porta piano piano al distacco dalla propria umanità, all’intolleranza delle proprie appendici tecnologiche quand’esse siano in grande quantità nel corpo. E a ciò si unisce la conseguente necessità di integrazione di cromo nel corpo umano per sostenere il peso di quella apparente forza e invincibilità. Nell’anime viene scelto appositamente questo metallo in quanto già normalmente esso può migliorare le prestazioni atletiche, aumentare l’energia e prevenire il declino cognitivo dato dall’invecchiamento. Anche nella finzione quello stesso cromo che il protagonista si inietta con la siringa risulta essere importante (ma non decisivo) per rimanere umano, senza annegare nella propria mente, confondendo la realtà con la fantasia. 

A quale costo si cambia? Probabilmente è il prezzo per essere davvero liberi in una società capitalista che privilegia i ricchi guardando dall’alto i poveri, lasciandoli senza diritti (soprattutto sanitari), a marcire nello sprawl, in una periferia dove è difficile seguire le regole imposte. Una distopia già vista con Ghost in the Shell o Alita, che nonostante sappia di già visto, rimane tristemente attuale.

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Virginia Gambatesa

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