Heliopolis/6. Gli archi degli acquedotti antichi e il dissidio natura-capitalismo

Una riflessione pungente sui cortocircuiti tra tecnica, ambiente e buon senso, con una evocazione antica del mito di Prometeo

Un acquedotto romano

L’altra mattina un vecchio genovese, che parlava dialetto, spiegava ad un amico, seduto accanto ad un’edicola, il mito di Prometeo. Una frase mi ha colpito: “Vedi non è tanto per il fuoco in sè, è che Zeus lo sapeva che con questa storia della tecnica gli uomini avrebbero fatto casino”.

Difficilmente Galimberti avrebbe potuto sintetizzare così il pensiero di Martin Heidegger; una battuta detta a due passi da palazzo San Giorgio, uccisore del Drago, sintesi popolana della separazione occidentale da Physis  e Logos. Come se un Dio, nella sua più consona ironia, avesse parlato. Il che pone nuovamente il quesito: non è che l’Essere ci parla ancora? A noi tatuati come carcerati perché schiavi della Tecnica e dunque coerentemente tatuati proprio come i carcerati. Gli Dei ci parlano ancora?
È una domanda legittima se persino la politica rivendica il “buon senso”. E cosa sarebbe il buon senso se non la capacità tutta popolare di ricollegare Natura e Ragione al suo Principio?
Così, mentre tutte le sigle elettorali rivendicano la razionalità atlantista (che è razionalità tecnica) a Piombino tutti i piccoli federali di provincia combattono, nel nome del buon senso, contro il rigassificatore costruito nella loro baia. A Piombino la ragione debitoria sparisce, spariscono le sigle elettorali, ed una piccola Heliopolis, per breve tempo, si fonda.
È il senso pagano di Alain de Benoist che ribadisce ciò che non può essere nascosto: capitalismo e natura non stanno assieme.
Per questo vi parlano del caldo. E ve ne danno la colpa. Vorrebbero annegarvi in un moralistico ed afoso senso di colpa. Hanno smesso, invece, di parlarvi di inquinamento, di cosa accumulano i vostri polmoni se abitate in pianura padana, o a Taranto.
Fa caldo. Troppo caldo. E poi farà freddo. Troppo freddo. Ed è per questo che noi altri non amiamo andare in ferie. Il lavoro è una magnifica distrazione dalla decadenza che rappresenta proprio questa società del lavoro; mai ferma, sempre pronta a risolvere il caos da se stessa causato.
Le ferie sono pericolose, in tempi di siccità permettono di osservare i ruderi di antichi acquedotti costruiti quando non si lavorava; o più semplicemente quando si lavorava per finire un lavoro.  E oziare. Fra quegli archi abbandonati si possono persino sentire parole di grande buon senso.
@barbadilloit

Giacomo Petrella

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