La lezione di Jack London: “Vivere, non esistere!” 

Buck e Zanna Bianca sono uomini, licantropi, e la slitta è la vita

Zanna bianca di Jack London

Compiere un viaggio nella vita di Jack London è una corsa frenetica, è come salire sull’otto volante al Luna Park. Già la sua nascita è molto travagliata.  La madre abbandonata cerca di abortire e si spara, ferendosi. Siamo nel 1876 e lui crescerà nella povertà di San Francisco.

Finisce presto in fabbrica dove riceve il battesimo sociale degli sfruttati. Comprende quell’appartenenza che non rinnegherà mai e la sua solidarietà a quella massa informe umana sarà per sempre.

Lascia il conservificio ed eccolo ladro di ostriche. Le taverne sono le scuole della sua prima gioventù. Nei ritagli di tempo fa il lavandaio e il pugile. Lo chiamano il principe dei pirati.  Si converte e fa il guardiacosta, poi cacciatore di foche. L’emozione dell’oceano, il tifone e lui impavido al timone, questo il suo primo racconto. La sua vita una sequela di poi poi e di nuovi mestieri. Di nuovo nella fabbrica a buttare il carbone nelle caldaie.  Nel 1894 partecipa alla marcia dei disoccupati verso Washington, le loro richieste saranno concesse anni dopo con il New Deal. Viaggiatore clandestino on the road: Kerouac nel 1951 si rifa a lui?  Viene arrestato e incarcerato per vagabondaggio. Nella reclusione stabilisce che non si farà mai sfruttare, uno dei pochi modi è quello di fare lo scrittore. Ritorna nella sua città, fa il bidello per pagarsi gli studi e si diploma. Si iscrive al partito socialista, tiene comizi e simpatizza per i bombaroli russi. 

Nel 1897 scoppia la corsa all’oro, la California Gold Rush. Una migrazione verso la Sierra Nevada con il miraggio di quel minerale giallo. E London c’è, c’è! A guardare le foto di quella fiumana di esseri che arrancano per il Chilkoot Pass ghiacciato vengono i brividi.  Formichine impazzite. Più di mille metri di altezza da fare a piedi, passo dopo passo, con valanghe, gelo e nebbia.  La scala d’oro da percorrere per arrivare al fiume Youkon che si dice ricco di pepite. Due anni dopo London abbandona il sogno con poca polvere aurea e lo scorbuto. Ha poco più di venti anni e ha il peso di simili drammatiche esperienze. Ha immagazzinato però quanto riverserà nei suoi scritti.

Nel 1903 pubblica “Il richiamo della foresta”. Il protagonista è il cane Buck che si unisce ai lupi e s’impone. La metafora è il mondo brutale della società capitalista ma i lettori trascurano il messaggio e si appassionano alla sorte del cane. Finalmente, dopo l’infinità di rifiuti negli anni precedenti, gli arride il successo letterario. La sua persona diviene molto popolare. Ha un faccione fotogenico e simpatico, una certa somiglianza con Kennedy. Alla gente piace quel profeta avventuriero che ha praticato i bassifondi delle città e i ghiacciai dell’Alaska. Lo trova affascinante anche se si professa socialista e ateo.

London è stato a Londra e compone “Il popolo dell’abisso”. Intende documentare i miseri anche con foto. Li chiama: “partita andata a male costretta a marcire”. Non raccoglie il consenso sperato. 

Nel 1906 pubblica Zanna Bianca che è l’incontrario di Buck: nel primo il cane si fa lupo, nel secondo il lupo si fa cane. Là l’imbarbarimento qui l’evoluzione.  London scopre con disappunto che i lettori si emozionano più alle storie dei cani soggiogati alle slitte che agli uomini oppressi.

Emilio Cecchi è severo con lui, lo definisce un plagiario di Conrad, Kipling, Stevenson. Indebolisce il mio flirt.  Glissa la mia obiezione: “London è uno degli scrittori più letti al mondo”. Considera modesta la sua espressione poetica sepolta da un’accozzaglia di fucilate, coccodrilli, balene, tempeste. Forse non gli perdona che le vicende nascano già modellate per il pubblico cinematografaro che ancora non c’era senza passare dalla letteratura. E che le pagine migliori siano nella sua vita tumultuosa. Pavese è più indulgente, si accontenta di citare quanto bevessero i suoi personaggi. Le ubriacature di Martin Eden con il collega della stireria di Oakland. Il bere è un retaggio dei romanzi nordamericani, affollati da bevitori. Pavese indica l’alcool come medicina alla fatica del job americano, la tranquilla ribellione. London non fa bere soltanto i suoi eroi ma lo fa personalmente, smodatamente, sino a inficiare la sua salute. 

Insisto nella mia difesa: ritengo i suoi racconti di amici accanto al bivacco con la bottiglia, la grolla dell’amicizia, che passa di mano in mano.  E il calore che si sprigiona dalle fiamme ingigantisce l’accaduto a vincere le ombre, il buio che c’è attorno. Ecco le ragioni della sua esagerazione!

Acquista un terreno a ridosso del Monte Sonoma dove intende costruire la casa dei sogni: la casa del lupo. Effettua coltivazioni senza fertilizzanti, ecologista ai primi del Novecento. Un precursore in tutto. Arma un’imbarcazione, la Snark, progettando il giro del mondo. A questo punto il fato gli si rivolge contro, come una muta di cani che non gli obbedisce più e la slitta si rovescia.

Nell’aprile del 1906 un terremoto colpisce San Francisco e la città preda dei successivi incendi è distrutta. Predicatori affermano che è la giusta maledizione divina perché è diventata la città del peccato. Questo comporta una crisi finanziaria a London che cerca di reagire. Nel 1907 esce “Il tallone di ferro” romanzo di fantapolitica nel quale prevede il primo conflitto mondiale e l’avvento del nazifascismo. Nel “Martin Eden” del 1909 c’è molto della sua vita. 

Nel 1913 un incendio devasta la casa del lupo in costruzione, lo scheletro di pietre annerite sarà il monumento di Jack London. La seconda moglie perde due figli alla nascita. I debiti assillano. Nel 1914 guerra dell’America contro Il Messico e London è corrispondente. Ma… i cari compagni rivoluzionari di anni prima ora per lui sono banditi. I  peones fratelli minori mentre l’America è il Grande Fratello (non televisivo!). In patria i compagni socialisti si rivoltano, lo accusano di razzismo. È ambiguo, ha il tarlo dei liberali della vittoria sull’altro, ama gli agi della ricchezza. E si becca larvate accuse di fascismo perché esalta la violenza e la  sua volontà eccessiva mal si concilia con i principi del socialismo. Dà le dimissioni dal partito. Per risollevare il portafoglio tenta l’avventura del cinema ma è troppo in anticipo sui tempi e si rifugia, forse esausto, alle Hawaii.

Muore a quarant’anni per malattia o suicidio? Come il suo emulo Martin Eden ha scoperto che la meta non vale il viaggio? Noi, suoi accaniti lettori, lo pensiamo partito per il giro del mondo che ha interrotto a causa della malaria, le infezioni. E porterà i dischi con il canto di Caruso ai selvaggi, come ha già fatto. 

In Zanna Bianca c’è la mescolanza di sangue di lupo e cane. C’è il corredo antropologico primitivo non ancora mitigato dalla civiltà. Plauto recita: Homo homini lupus, l’uomo è un lupo per l’uomo. Quanto siamo lupi e quanto cani?

 

 

   

 

Gianfranco Andorno

Gianfranco Andorno su Barbadillo.it

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