Guareschi e il messaggio cristiano di uno scrittore controcorrente

Approfondiamo la figura del noto scrittore con lo storico americano Alan R. Perry, professore di italiano presso il Gettysburg College a Gettysburg, Pennsylvania

Giovannino Guareschi

Di Giovannino Guareschi (1908-1968) si è scritto molto e si è detto molto; si è scritto e si è detto più contro che pro…; si è discusso di lui più in forma pregiudiziale, a tratti dispregiativa, che in termini di analisi. Quando un infarto lo colpì mortalmente il 22 luglio di un incandescente 1968, l’anno della Contestazione, il giornale comunista «L’Unità», così concluse un breve trafiletto dedicato allo scomparso:  «Melanconico tramonto dello scrittore che non era mai nato».  Certo, non poteva essere elogiato dai comunisti Guareschi visto che li aveva sempre combattuti da scrittore e giornalista, da umorista e polemista.         

Seguito più all’estero che nella terra natia, calza a pennello quel Nessuno è profeta nella propria Patria. E non poteva essere altrimenti, vista quella fede cristiana che da sempre ha albergato nel suo animo aiutandolo nei tanti momenti drammatici della sua esistenza.

Approfondiamo la figura del noto scrittore con lo storico americano Alan R. Perry, professore di italiano presso il Gettysburg College a Gettysburg, Pennsylvania, dove insegna italiano nei corsi di letteratura, storia, cinema e cultura italiana. Ha conseguito il dottorato in Letteratura italiana presso l’Università del Wisconsin-Madison discutendo della Resistenza italiana nella Seconda Guerra Mondiale.

Ha pubblicato libri e scritto articoli su come gli italiani hanno commemorato i caduti della Seconda Guerra Mondiale, sui partigiani caduti durante la Seconda Guerra Mondiale; sul folklore legato alla guerra. Vasta è stata la sua produzione letteraria su Giovannino Guareschi.

Recentemente ha approfondito l’esperienza dei prigionieri di guerra italiani in Pennsylvania durante la Seconda Guerra Mondiale non tralasciando quanto realizzato dagli stessi combattenti italiani negli USA, in termini di murales, memorie e cappelle, veri e propri luoghi di memoria pregni di significato”.

Professor Perry, perché ha deciso di approfondire la figura di Giovannino Guareschi?

“È dal 2000 che approfondisco la figura di Guareschi anche se negli ultimi cinque mi dedico più alla storia dei prigionieri italiani detenuti negli USA durante la Seconda Guerra Mondiale. Guareschi era davvero uno scrittore eccezionale. Il mio interesse per lui, scrittore e giornalista, è cominciato molto prima e non per via del cinema, ma per i suoi racconti. In qualità di ufficiale dell’Esercito americano, dal 1988 al 1991 sono stato di stanza a Vicenza ed ebbi modo di girare l’Italia; e dopo che mi ero congedato feci anche un Master a Firenze. Ero a Roma quando, in una libreria notai un volume, il II, di un’opera di Guareschi: «Don Camillo ed il suo gregge». 

Mi immedesimai subito in quelle pagine che descrivevano uno spaccato di vita italiana. Quel mio immedesimarsi derivava dalla esperienza che stavo facendo in Italia e dal fatto che i miei bisnonni erano italiani immigrati negli Stati Uniti. In Italia avevo dei cugini che abitavano a Cafasse e Mathi nel Canavese.

Divenuto professore universitario, visto che nessun accademico statunitense aveva studiato Guareschi decisi di farlo io. E così, di anno in anno, frequentai a Roncole Verdi vicino a Bussetto, gli archivi di Guareschi. Mi accolsero straordinariamente bene i figli di Guareschi, Alberto e Carlotta. Fu un’esperienza esaltante studiare lettere, documenti e racconti del loro papà”.   

Quali opere ha maggiormente apprezzato di Guareschi?

“«Diario clandestino», un’opera che ha per protagonista proprio Guareschi, ufficiale italiano prigioniero (ovvero Internato Militare Italiano) con tanti altri italiani in un campo di concentramento tedesco. In quel momento drammatico, di baracca in baracca, diffonde un giornale parlato da lui ideato; cerca di rincuorare e tenere su il morale degli internati. Pur sofferente, grazie alla sua profonda fede cristiana, Guareschi è un resistente splendido, straordinario.

Altra opera è «La favola di Natale» scritta ed ambientata nel dicembre 1944, sempre durante il periodo della prigionia. È un’opera splendida per la resistenza nel campo di concentramento sotto gli occhi dei tedeschi che prende in giro condannando la filosofia nazista”.   

La Resistenza dei militari italiani prigionieri nei campi di concentramento tedeschi è una straordinaria pagina di Storia in Italia da sempre trascurata.  Perché Guareschi non è stato profeta nella sua Patria? 

“Ci sono tre motivi a mio parere. Guareschi è uno scrittore popolare, un giornalista, non un intellettuale, anzi lui si dichiarava sempre anti-intellettuale. E questo non andava bene a quegli intellettuali prevalentemente di sinistra, di ideologia marxista. Era malvisto Guareschi, non solo perché monarchico, anticomunista, antifascista, ma anche per la sua espressione artistica popolare. C’è un altro motivo: la sua esperienza spirituale; era un uomo di fede. Leggendo i suoi racconti emerge il suo essere scrittore cattolico, cristiano”. 

In ordine a tali aspetti, lei cosa ha scoperto di importante?

“Nelle sue opere ci sono messaggi spirituali, delle verità cristiane veramente splendide. Temi prevalenti sono la riconciliazione ed il perdono. Per quelli che si erano macchiati di delitti nel Triangolo della Morte, per coloro che avevano ucciso per odio, Guareschi aveva un messaggio profondamente cristiano del perdono.  

I racconti, in seguito trasformati in film, non esprimono chiaramente il messaggio cristiano di Guareschi. Oltre a Don Camillo e Peppone, nei suoi racconti il protagonista è il Cristo parlante che rispecchia la coscienza personale dell’autore. Tutto ciò rivela una ricchezza spirituale che va studiata ed apprezzata.

Altro aspetto importante riguarda gli ideali di Guareschi. Essendo monarchico, fu un grande sostenitore della Monarchia nel Referendum del 2 giugno 1946. Da quel momento, ossia, da quando l’Italia divenne una Repubblica, dette un forte sostegno a De Gasperi ed alla DC anche se, ad un certo punto, vi fu una rottura con i dirigenti democristiani. Due sono i suoi manifesti famosi disegnati contro il Fronte Democratico Popolare (comunisti e socialisti) nelle elezioni del 18 aprile 1948. In uno si vede la figura di un uomo che sta per segnare la scheda e c’è lo scritto “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!”. Nell’altro si vede uno scheletro di un soldato italiano fatto prigioniero dai Sovietici che indica con la mano il profilo di Garibaldi sovrapposto ad una stella con la didascalia: “100.000 prigionieri italiani non sono tornati dalla Russia. Mamma, votagli contro anche per me!”. Ebbero un grande impatto sulla sensibilità dei votanti”.

Come ha appena detto nelle elezioni politiche del 1948, Guareschi dette un grande sostegno alla DC di De Gasperi (1881-1954) contro i comunisti. La rottura con la DC giunse poco dopo perché Guareschi si accorse – fu forse uno dei pochi – che la DC, dopo aver preso milioni di voti monarchici ed anticomunisti, non portò avanti una decisa politica anticomunista. E qui occorre sfatare la leggenda del De Gasperi anticomunista. De Gasperi fu certamente antifascista, mai anticomunista. Il contrario, ad esempio, del democratico-cristiano tedesco, antinazista ed anticomunista, Konrad Adenauer (1876-1967). Al di là degli indiscutibili meriti che i comunisti hanno avuto nel costruire un vastissimo consenso elettorale, De Gasperi ha dato un contributo non secondario alla crescita del Comunismo in Italia. In campo antifascista, non fu De Gasperi a denunciare il pericolo comunista, ma un noto esponente della Sinistra socialdemocratica: Giuseppe Saragat (1898-1988) che nel gennaio 1947 si scisse dal PSI alleato del PCI, dando vita ad una nuova formazione politica, il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.     

“Ha detto bene, ci sono storici che sostengono questa posizione, ma bisogna tenere in conto anche della situazione di quel periodo”.  

Torniamo al messaggio cristiano di Guareschi.  

“Anni dopo, nel 1954, Guareschi finirà in prigione per un anno, a causa di una sentenza scaturita da una querela di De Gasperi. La disputa nacque da due lettere risalenti al 1944, attribuite a De Gasperi, pubblicate da Guareschi sul «Candido». Nelle lettere, il futuro Presidente del Consiglio chiedeva alle forze alleate di bombardare la periferia di Roma. Guareschi andò in prigione non perché il Tribunale di Milano accertò falsi i documenti ma perché, come ebbe modo di difendersi, De Gasperi assicurò di non essere stato lui a produrli e la corte, in breve, accettò la sua affermazione in buona fede scontando la certezza di Guareschi che i documenti erano invece veri. Dinanzi alla sentenza, poiché era convinto di aver pubblicato dei documenti veri mai scientificamente appurati di essere falsi, Guareschi si ostinò a voler andare in prigione dando un grande esempio di dignità. Quella sua ostinazione ha un qualcosa di positivo, ma anche di negativo. Di positivo c’era la determinazione delle sue convinzioni tese a dimostrare di aver ricevuto dei documenti veri, di negativo il non rendersi conto della potenza del potere politico che lo avrebbe sconfitto. Non avendo avuto l’opportunità di difendersi, decise di andare in prigione. Un esempio di grande chiarezza e dignità visto che non chiese neanche la grazia.

Era in carcere a Parma quando seppe della morte di De Gasperi e, come ebbe modo dire, non nutrì alcun odio nei confronti del tre volte Presidente del Consiglio. Era ostinato Guareschi, aveva una grande convinzione delle proprie idee e, in chi avversava, non vedeva nemici, ma solo avversari”.         

Sicuramente anche in quella drammatica circostanza la fede cristiana gli è stata di aiuto e chissà che il suo motto, coniato durante la prigionia, «Non muoio neanche se mi ammazzano», lo abbia fatto valere nella prigione di Parma. Quel suo credere in Dio le rendeva libero.

“Vero. Un altro motto che aveva scritto su un cartello appeso alla parete della prigione è il seguente: 

«Libertà è dovunque vive un uomo che si sente libero»; molto bello, splendido, in quanto le galere non contano perché vi si può uscire anche con l’anima. Ne fa eco il suo personaggio di Don Camillo nel racconto «Giallo e rosa» quando dice a Peppone: «C’è sempre una porta aperta per scappare da ogni galera di questa terra. Le galere sono soltanto per il corpo. E il corpo conta poco».

In altri racconti come «Il sangue non è acqua» ed i «Residuati di guerra», viene evidenziato il tema del perdono ed il ruolo svolto da don Camillo che, dinanzi ad un omicidio ed al tradimento di un marito, da buon prete aiuta una persona a capire la via giusta per andare avanti. Questi e molti altri racconti, dove emergono la sua fede ed il messaggio cristiano, non sono stati trasformati in film, ma pubblicati sul giornale che dirigeva, «Candido». Guareschi, avendo creato un mondo dove la fede cristiana è sempre stata molto presente, rimane uno dei maggiori esponenti della letteratura cattolica del Novecento.   

Negli Stati Uniti, invece, c’è stato un periodo, gli anni Cinquanta, in cui Guareschi è stato tradotto ed aveva un grande seguito”.

Perché?

“Erano gli anni della Guerra Fredda e Guareschi venne riconosciuto dalla rivista Life come grande sostenitore dell’Anticomunismo. Era considerato un nostro grande alleato.  Venendo meno la Guerra Fredda il suo messaggio anticomunista assunse minore importanza.  

Al di là di questo aspetto, c’è da dire che abbiamo noi, negli Stati Uniti, una tradizione di autori popolari che vale la pena di studiare. Penso a Mark Twain (1835-1910), pseudonimo di Samuel Clemens, scrittore ed umorista proprio come Guareschi. Guareschi lo paragono inoltre ad un grande illustratore americano come Norman Rockwell (1894-1978), famoso realizzatore di copertine per il giornale «The Saturday Evening Post», anche lui non accettato dagli intellettuali come vero artista, ma con un grande seguito popolare. 

Per chiunque voglia studiare gli Anni Cinquanta, la Guerra Fredda, in particolare per come era vissuta in Emilia con il Triangolo della morte, bisogna tornare a Guareschi che ha catturato lo spirito di quegli eventi rifacendosi, da cronista, a fatti realmente accaduti poi trasformati in racconti”.

E di Guareschi e gli anni Sessanta cosa può dire?

“Anni Sessanta, anni del boom economico, invasione dei mass media, Concilio Vaticano II. Ha vissuto questi eventi da conservatore quale lui era. Condannava il progresso a tutti i costi perché era tradizionalista. Viveva forse la nostalgia di un’epoca alla quale era stato molto attaccato, ma che se ne andava via travolta dai grandi rivolgimenti sociali. Lui è morto nel 1968 all’età di 60 anni”.     

È chiaro che avversava la Contestazione del ’68; avrebbe avversato la seconda, Contestazione, quella del 1977, combattuto il divorzio, l’aborto, il Compromesso Storico DC-PCI. 

“Certo, ben detto”.

Cosa ha trovato di positivo e di negativo in Guareschi?

“Lo ammiro per la fermezza che aveva anche di fronte ai potenti. Tale fermezza, però, sfociava nella ostinazione cosa, quest’ultima che lo avrebbe fatto soffrire. Fossi stato al suo fianco, da amico gli avrei detto:

“Giovannino devi stare attento a quello che fai perché questi qua hanno un potere spaventoso”.

A tratti era rigido, ma lo ammiro molto anche per questo perché in lui si vede una voce profetica. Come si direbbe in inglese: “He spoke Truth to power”. Ha rappresentato la Verità ai potenti”.

Il 22 luglio di quest’anno ricorre il cinquantaquattresimo anniversario della morte di Guareschi. Qual insegnamento ha lasciato? 

“Ha saputo trasmettere un ethos, lo spirito di un’epoca, quella del Novecento. Il mondo che ha creato è stupendo. Come ha disegnato il paese di Don Camillo e Peppone, la ubicazione della chiesa e della farmacia, la collocazione dei campi. Quel Mondo Piccolo di prezioso ha avuto la voce del Cristo parlante che invitava al perdono, alla confessione, al trattare bene il prossimo; quel Cristo parlante con il quale dialogava in maniera chiara ed avvincente. È stato un grande uomo Guareschi, un uomo che, grazie alla sua ricchezza interiore, sollevando l’anima, è riuscito a sopravvivere ai campi di concentramento nazisti dando man forte ai militari internati. Da non dimenticare quel suo esempio di correttezza interiore che lo invogliò a non produrre alcuna domanda di grazia per lo scontro che lo aveva visto soccombere nel contraddittorio processuale con De Gasperi.

Infine, la coscienza. Per esseri liberi non bisogna seguire i movimenti sociali, ma seguire il proprio cuore. Il Cristo parlante dice a Don Camillo in «Peppone marca visita»: “Ognuno nasce e muore per conto proprio e Dio considera gli uomini uno per uno e non gregge per gregge. Guai a chi rinuncia alla sua coscienza personale per partecipare a una coscienza e a una responsabilità collettiva.” Lezione stupenda che vale sempre”.

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Michele Salomone

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