Così il whisky ha costruito l’immaginario (ripudiato) dell’Occidente

Dalle saghe antiche ai distillatori giapponesi passando per i duri del cinema che hanno costruito il mito di Hollywood

Il terzo sabato di ogni mese di maggio, il mondo si ferma per rendere omaggio al whisky. La liturgia laica delle giornate mondiali e delle celebrazioni culturali e commerciali ha riservato un posto – e non poteva essere altrimenti, dato che basta davvero poco (magari che un consigliere comunale in cerca di visibilità inneschi una buona campagna social…) per finire in una lista di cose random protette dall’Unesco – alla bevanda alcolica che, nata nel mondo anglosassone e celtico ha imposto il mito americano nel mondo.

Whisky è parola che fa venire immediatamente in mente il cinema in bianco e nero, le atmosfere che hanno creato le basi del mito a stelle e strisce. La costruzione stessa di un racconto possibile dell’America, oggi improponibile per tutta una lunga e lunatica serie di tragicomici veti incrociati tra woke, salutisti e braghettoni assortiti, è in fondo a una bottiglia. Dai fumosi bar del proibizionismo, gestiti dai dritti della mala, dove indagano gli investigatori privati con l’impermeabile e la fiaschetta sempre piena di segreti da dimenticare, è arrivata l’essenza stessa del “duro” del cinema. Lì, una caterva di omaccioni pettoruti, in gessato e bretelle, ha fatto strage di nemici (di celluloide) e di cuori (delle ammiratrici) sul grande schermo. Da John Wayne (che ha dato anche il nome a una distilleria) e Humphrey Bogart dal mito Casablanca fino alla vita reale fino a James Dean. Hanno provato a coinvolgere pure Bruce Lee ma l’iniziativa di un marchio americano per aprire al mercato cinese s’è frantumata contro le proteste della famiglia, degli amici e degli allievi.

Belli, maledetti e duri, durissimi: in una mano il bicchiere, nell’altra la sigaretta sempre accesa. Un’iconografia che l’Italia imparerà a conoscere benissimo, prima con la copiosa messe di film americani che invaderanno le sale e poi con la gigantesca (e deliziosa) semi parodia che ne faceva il mai abbastanza compianto Fred Buscaglione: ricordate “il dritto di Chicago Sugar Bing”, quello che  “ha avuto da bambino/ Al Capone per padrino / E sua madre lo allattava / A whisky e gin”. Appunto.

Oggi il whisky, come la stragrande parte delle acquaviti e delle bevande iperalcoliche, s’è globalizzato. E se Irlanda e Scozia ancora si contendono chi l’ha tenuto a balia, se è in America che il whisky è diventato parte di un mito e continua a essere considerato un gioiello nazionale (anche se, occorre dirlo, negli Usa c’è pure chi pensa che la pizza sia stata inventata a New York…), oggi è il Giappone che fa incetta di premi e presenta una produzione di eccellenza. La maestria degli artigiani distillatori nipponici batte, regolarmente, i produttori internazionali nelle competizioni di qualità. A dimostrazione del fatto che nulla è impossibile quando si lavora con tenacia. Nemmeno dare una lezione, di whisky, ai pettoruti gangster del cinema.

 

gv

gv su Barbadillo.it

Exit mobile version