Storie. Il Capitano Vincenzo Carlo Caggiano e una certa idea dell’Italia

Medaglia d'Argento al valore militare: le sue ossa oggi riposano nella Chiesa dei Caduti in Guerra in piazza Salerno a Roma

Per l’onore dell’Italia

Vincenzo Carlo è uno dei sette figli di Vincenzo Caggiano e Margherita Glielmi. Nasce a Potenza il 3 gennaio del 1894. Diviene un robusto giovane alto, allegrone, fantasioso, imprevedibile e con aspetto gradevole tranne che un accentuato strabismo. Si diploma ragioniere e farà il commerciante fino alla chiamata alle armi.

Riceve una puntuale educazione cattolica, all’amore patrio, all’arte, alla musica, al bel gesto e al bel parlare. Fu un attore mancato. Amava gli animali. Aveva un cane, barbone bianco di taglia grande, che lo seguiva al guinzaglio in bicicletta. Il suo nome era Philip. Philip era in grado di andare a ritirare il giornale al suo padrone portando i soldi all’edicolante in un cestino sorretto con i denti tanto da essere notato da Polidor, attore comico del tempo, per girare un film a Cinecittà. 

All’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, Carlo vi partecipa in qualità di Ufficiale di Complemento di Artiglieria e per il suo spiccato senso del dovere, guadagna sul campo una medaglia di bronzo, due croci di guerra e la promozione a capitano per avere portato in salvo la sua batteria ed averne recuperato altre abbandonate.

Richiamato in servizio

Passano gli anni, l’Italia è costretta a partecipare alla Seconda Guerra Mondiale e nel ’42 il capitano Caggiano è richiamato in servizio e, dato il suo prestigio, gli viene affidato il comando di un treno armato della Regia Marina Militare a protezione della costa sud occidentale della Sicilia.

Intimamente soddisfatto dell’incarico vi si appresta profeticamente con l’etica del mare: “Il comandante di Marina non abbandona la nave neppure quando affonda”.

Il 1943

Arriva il fatidico ’43. L’Ufficiale scrive ancora alla famiglia a Roma e manda qualche regalino ai nipoti, poi più nulla. A guerra finita i Carabinieri portano la notizia ai familiari che il Capitano Caggiano era morto in combattimento il 21 luglio 1943 a Mazara del Vallo.

L’eroica morte

Pertanto il fratello Roberto, musicista, si reca a Mazara del Vallo per raccogliere notizie e testimonianze sul caduto. A seguito dello sbarco anglo-americano avvenuto in Sicilia nel luglio ’43, il capitano Caggiano aveva ricevuto l’ordine di posizionare il treno armato a Mazara del Vallo. Pertanto sceglie il lungomare alberato per mimetizzarsi rispetto all’osservazione aerea nemica rifiutando le pressioni del vescovo del luogo tese ad evitare l’apertura del fuoco sulle formazioni di bombardieri nemici che si recavano dalla Tunisia a bombardare Palermo e che perciò avrebbero potuto colpire anche Mazara. Questo fa pensare al fatto che lo stesso vescovo, d’intesa con la mafia locale, abbia convinto i marinai addetti ai cannoni a disarmarli e fuggire. Infatti, il 21 luglio, alla vista dei carri nemici, i cannoni del treno ad alzo zero non hanno potuto sparare. Lo stesso Capitano riesce ad acciuffare due sabotatori e consegnarli ai Carabinieri ma saranno liberati due ore dopo e addirittura decorati per collaborazione con i liberatori (sic!).

Rimasto solo, il Capitano, con le mani ai fianchi in segno di sfida, aspettò nella piazza tangente il treno i liberatori. All’arrivo gridò loro in faccia che non sarebbero arrivati fino a lì se non gli avessero sabotato i cannoni con cui avrebbe fatto poltiglia dei loro carri armati. Subito dopo risalì su quello che era stato il suo posto di comando sul treno e con un colpo di pistola si tolse la vita. Estrema viltà ed estremo coraggio.

Dice il nipote Enzo Schiuma: “Non fu diserzione dalla vita, la sua, ma un atto di protesta lasciato ai posteri contro l’infame tradimento”.

La salma dell’Eroe fu provvisoriamente inumata nei pressi del treno. Alcuni marinai vi posero sopra un cartone con la scritta: “Al Capitano Vincenzo Carlo Caggiano, che al disonore della resa ha preferito l’onore della morte. Firmato: I Soldati d’Italia”.

Le sue ossa oggi riposano nella Chiesa dei Caduti in Guerra in piazza Salerno a Roma.

Il regime della capitolazione Gli conferisce la medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione: «Ufficiale già distintosi nel precedente conflitto, profondamente attaccato al dovere, ha tenuto per lungo periodo il comando di treno armato in settore avanzato, sottoposto a frequenti azioni offensive. Rimasto isolato in conseguenza di riuscite operazioni anfibie di invasione compiute dall’avversario, nelle ultime vicende del suo comando ha dato prove mirabili di coraggio e di abnegazione e piuttosto che arrendersi ha preferito togliersi la vita, concludendo col supremo sacrificio un’esistenza sopra ogni cosa sensibile ai più elevati ideali di onore e di Patria».

Successivamente, alla richiesta avanzata dal fratello Roberto al ministro della difesa pro tempore Randolfo Pacciardi, tendente a commutare la medaglia da argento in oro, fu risposto negativamente in quanto il caduto non aveva combattuto contro il nemico ma contro i liberatori (sic!).

Per il Capitano Caggiano non solo la morte ma anche l’insulto di essere morto per non avere capito ciò che stava accadendo in quel frangente, il più ignobile e rivoltante voltafaccia che la Storia ricordi e che ha dato origine alla perdita del senso di dignità nazionale.

FONTI:

Enzo Schiuma, Frantumi d’Italia;

Ministero Difesa, Divisione Documentazione Esercito.     

Paolo Francesco Lo Dico

Paolo Francesco Lo Dico su Barbadillo.it

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