“Lascia passare la signora; guarda il signore che ti parla; stai eretto; non additare; questo non si fa”. La famosa cortesia, quella che – non sempre riuscendo – tentiamo d’insegnare ai figli, è sempre meno comune. Se ci si scansa per cedere il passo a qualcuno tra la folla, è probabile che una fila ininterrotta, come una mandria di gnu migranti, ne approfitti e che nessuno vi ringrazi con lo sguardo o col sorriso.
Sui mezzi pubblici le persone anziane devono sperare di essere ben solide sulle gambe, viste le minime speranze che qualcuno ceda loro un posto a sedere. E il tradizionale “buongiorno”? Ormai si riduce a un “… giorno” appena mormorato, senza che un nome o un titolo lo seguano.
La cortesia non ha più buona stampa. Chi tuttora la pratica è sospetto, come “troppo educato per esser onesto”, “ipocrita” o “limitato”. Per sembrar “sinceri” bisognerebbe calpestarsi a vicenda, dirsi tutto ciò che si pensa nell’istante in cui lo si pensa e non rendere nulla formale.
Nell’eccellente libro La Politesse – Au fil des mots et de l’’histoire* (“La cortesia – Sul filo delle parole e della storia”), il linguista Jean Prouvost studia, da erudito e umorista allegro, questa simpatica invenzione. Definendo la necessaria urbanità, cita in particolare Schopenhauer.
Il filosofo ci paragona ai porcospini, che, per scaldarsi, devono trovare la distanza giusta: né troppo lontani, né troppo vicini. Relatività culturale dei costumi, educazione o maleducazione, evoluzione delle abitudini nell’era dello smartphone… Prouvost esamina con sottigliezza questo concetto da salvare, rivisitando la storia: dalla correttezza del re Francesco I a quella dell’insegnante di scuola guida, passando per La Rochefoucauld, Proust, la baronessa Staffe ecc. Opera indispensabile per ritrovare il fascino non così discreto della cortesia.
*Editions Taillandier, pp. 320, euro 20,90
Point de Vue, n. 3844, 20 – 26 aprile 2022