Annotazioni brevi sulla solennità dell’Epifania

La figura dei Re Magi in una tradizione millenaria che unisce l'Europa all'Asia

Com’è a tutti noto, giovedì prossimo, 6 gennaio, è l’Epifania del Signore, festa di precetto per la Chiesa Cattolica, nonché una delle massime solennità dell’anno liturgico, insieme a quelle della Pasqua, della Pentecoste, dell’Ascensione e del Natale.

La parola deriva dal greco antico Epifàneia (πιφάνεια), sostantivo femminile significante “manifestazione”, “apparizione”, “presenza divina”. Ciò spiega il perché, in termini cristiani, il riferimento è al primo manifestarsi della divinità e dell’umanità insieme di Gesù Cristo ai Re Magi, portatori di tre doni dal profondo significato simbolico – alla stregua delle loro stesse figure –, l’oro, l’incenso e la mirra. Si legge nel Vangelo secondo Matteo – l’unico tra i Vangeli Canonici che li menziona, senza, tuttavia, alcuna precisazione circa il numero e la loro discendenza regale – che questi

 

«[…] Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: / “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”. / […] Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. / Al vedere la stella, essi provarono una gran gioia. / Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra». (Mt 2: 1-2, 9-11)

 

Non v’è dubbio che l’Epifania, oltre a essere uno dei “pilastri” della Cristianità, è forse tra le feste di precetto quella, a un tempo, più “fascinosa” (non per nulla ha la capacità di attrarre fortemente anche l’attenzione e la curiosità dei nostri bambini, in considerazione, soprattutto, che le si sovrappone, in Italia, la festa della Befana, figura folkloristica dispensatrice di doni) e “misteriosa” (non solo nel senso comune dato al termine “mistero”, ma anche in quello teologico di verità soprannaturale, ossia, non conoscibile per il tramite delle forze naturali dell’intelligenza). Ciò, a ben vedere, è dovuto principalmente alla sua profonda carica simbolica, con riferimento tanto ai personaggi quanto agli elementi che la caratterizzano: i Magi, i doni e la Stella Cometa.

Risulta difficile districarsi, in particolare nello spazio offerto da un breve articolo, nella ricca e complessa esegesi storico-critica legata alle figure dei Magi, traslitterazione del termine greco magos (μαγος, plurale μαγοι), titolo con cui s’identificavano non dei re, ma i sacerdoti custodi della dottrina del profeta e mistico Zoroastro o Zarathustra, fondata prima del VI secolo a. C. nell’antica Persia.

A partire dalle scarne informazioni fornite dal Vangelo secondo Matteo, la tradizione cristiana col trascorrere del tempo è andata arricchendo la storia dei Magi di vari dettagli. Di certo, tra le evoluzioni più importanti v’è quella che concerne la trasformazione della loro iniziale condizione di sacerdoti e astrologi a quella di re. In tal senso, la tesi più accreditata è che si tratti di un richiamo ad alcune profezie dell’Antico Testamento che riferiscono dell’adorazione del Messia da parte appunto di alcuni re. È il caso del famoso Salmo “regale” Il re promesso, attribuito a Salomone: «Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, / i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi.» (Sal 72 (71): 10). Cosicché, i primi esegeti cristiani avrebbero reinterpretato il racconto di Matteo – racconto, peraltro, almeno secondo vari biblisti contemporanei, che sembrerebbe una composizione didascalica più che una cronaca, ovvero, una “(ri)costruzione” storica e letteraria insieme, pensata allo scopo di fornire un insegnamento – alla luce di tali profezie elevando i Magi al rango di re. Quanto, poi, all’essere tre di numero, ciò è stato probabilmente suggerito dal numero di doni che portarono.

Allo stesso tempo, tuttavia, occorre ricordare come un grande contributo all’arricchimento ulteriore delle immagini legate ai Re Magi, finendo per diventare parte integrante della cultura cristiana canonica, sia stato fornito dai Vangeli Apocrifi. In tal senso, la descrizione più dettagliata la si rintraccia nel Vangelo dell’infanzia Armeno, da cui cito quest’unico e importante passo, estrapolato dal capitolo V, paragrafo 9:

 

«Subito un angelo del Signore si recò nel paese dei persiani, per avvertire i re Magi che andassero ad adorare il neonato. E costoro, guidati da una stella per nove mesi, giunsero a destinazione nel momento in cui la Vergine diveniva madre. In quel momento il regno dei persiani dominava per la sua potenza e le sue conquiste su tutti i re che esistevano nei paesi d’Oriente, e quelli che erano i re magi erano tre fratelli: il primo Melkon, regnava sui persiani, il secondo, Balthasar, regnava sugli indiani, e il terzo, Gaspar, possedeva il paese degli arabi. Essendosi uniti insieme per ordine di Dio, arrivarono nel momento in cui la Vergine diveniva madre».

 

Quanto, poi, ai doni è nota la loro interpretazione – già rintracciabile a partire dalla fine del IV secolo in alcuni inni religiosi e, poco più tardi, anche in vari canti popolari – quali emblemi profetici dell’identità di Gesù: l’oro indica la sua regalità; l’incenso è la rappresentazione del suo sacerdozio divino; la mirra, una pianta da cui si estrae una resina gommosa e che mescolata con oli serviva a realizzare unguenti a scopo tanto medicinale e cosmetico quanto religioso, anticipa la sua futura sofferenza redentrice – del resto, il termine “Cristo” significa proprio “unto”, ovvero, persona consacrata tramite l’unzione con un simbolico unguento, un crisma, in quanto re, guaritore e Messia di origine divina.

Importante è anche ricordare come ancora oggi sia ancora vivo il culto dei Re Magi, narrando la leggenda che i loro resti mortali furono recuperati in India da Sant’Elena, madre di Costantino I, per poi essere portati a Costantinopoli e posti nella basilica di Santa Sofia. Da lì, nel corso del IV secolo sarebbero stati trasportati a Milano, dove l’allora vescovo Eustorgio fece costruire una basilica allo scopo di conservare il monumentale sarcofago romano in pietra grezza che li ospitava e che, secondo la tradizione, fu donato dallo stesso imperatore Costantino I. Secoli dopo, a seguito dell’assedio di Milano (1161-1162) per mano di Federico I Barbarossa, le celebri e preziose reliquie furono trafugate e trasferite in Germania, a Colonia. Soltanto agli inizi del XIX secolo si crearono le condizioni per far sì che alcune di queste spoglie potessero far ritorno nella basilica di Sant’Eustorgio, ora poste in una teca al di sopra dell’altare della Cappella dei Magi, che ospita anche il loro sarcofago, naturalmente vuoto. Sempre per conservarne la memoria, il campanile della basilica è sormontato non dalla tradizionale croce sommitale, ma dalla stella a otto punte che fece loro da guida fino a Betlemme. Tale ricchezza di simbolismi legati ai tre Re Magi fa sì che la basilica milanese di Sant’Eustorgio ancora oggi sia meta di pellegrinaggio.

Brunello Natale De Cusatis

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