Destre. Dopo Atreju, più Mazzini e Corridoni per i conservatori

Accanto all'identitarismo che si contrappone alla ideologia woke, è tempo di presidiare il territorio del lavoro

Celebre scatto con lavoratori

Non voglio entrare nel merito della svolta conservatrice di Atreju. Mi vorrei limitare su questo punto nel dire alcune cose necessarie: la prima è che ogni declinazione ideale e culturale del fare politica, per quanto sofistica o retorica essa sia, deve essere finalmente benvenuta poiché capace di riportare il dibattito sul bene comune ad una sana dimensione dialettica.

La seconda è che la temperie conservatrice globale sancisce una clamorosa vittoria morale della destra popolare, quella odiata da tutti gli ambienti ben distinti i quali hanno inanellato in fila il 2008, il 2013, il 2020: insomma dalla crisi dei mutui a quella del debito sovrano sino alla ridicola gestione della pandemia il pensiero tecnocratico più avanza più fallisce. Più uccide. Per restare in tema della Storia Infinita, è “il nulla che avanza”.

La Destra in quegli anni restava, diamole merito, ed oggi giustamente coglie il plauso di chi fino a ieri millantava e credeva alla fine della storia.

Idee attuali

Perciò lascerei perdere le fisime intellettuali fra conservatorismo e rivoluzione conservatrice, fra destra di salotto e destra di popolo, fra thathceriani e sincretici. Tanto è già chiaro dove vanno le nostre preferenze. Il fatto stesso che la Destra torni a determinare l’agenda ideale di un paese è cosa meritevole di impegno. Patria, Valori, Tradizione. Retorica? Roma val bene una parata con bevuta di the. Certo ci vorrebbe anche un tipo di impegno gentiliano, un pizzico di idealismo attualista, il ricreare non solo l’alveo ma anche il contenuto.

La risindacalizzazione

Lo scrivo da molto tempo. Ormai mi ripeto. E comincio a sentirmi vecchio nonostante non lo sia. Sono convinto appunto che non sia l’aspetto valoriale il problema. I disastri del pensiero operativo ed omologante hanno nel popolo l’effetto di un reagente. E’ un’intuizione evoliana: buon sangue non mente, reagisce. Ma la reazione è facilmente indirizzabile: populismo e sovranismo ne sono stati gli esempi. Il dunque non è dover ricreare uno spirito comunitario. Piuttosto metterlo in pratica.

Lo storicismo gentiliano va ribaltato: se ai primi del novecento la vittoria mutilata, il nazionalismo seguente, avevano dato una casa politica a quasi un secolo di sincretismo, prassi, cultura e ideologia sindacale e socialista dando compimento al Risorgimento, oggi quel nuovo Risorgimento che comincia ad intravedersi persino politicamente non potrà che avere il percorso opposto.

Il patriottismo, non ce ne siamo resi conto, è linguaggio popolare comune da almeno trent’anni; Craxi, Berlusconi, se ancora spiccano in questo disastrato paese lo fanno per quel senso di autonomia patriottica che, in linea con la nostra tradizione culturale, seppero mantenere ed attualizzare. Il problema non è valoriale.

La patria muore nella deflazione

E’ sindacale, è soreliano, è mazziniano. E’ pratico. La patria muore nella deflazione, nel salario più basso del 1990, nella fatiscente edilizia scolastica, muore coi morti del ponte di Genova, con i più di mille morti sul lavoro l’anno, con il ritorno del latifondo, del caporalato, dei diritti d’impianto, con l’aggressione globale alle doc, alle Igp, con il falso “made in italy”. Con la totale mancanza di programmazione industriale e culturale. Muore insomma col vincolo esterno. Non solo di tasse e burocrazia.

La patria c’è, i suoi valori ci sono e vanno conservati. Ma tutto ciò sta scivolando verso quello che chiamavamo Terzo Mondo. E non ce lo possiamo permettere. Non lo vogliamo permettere.

@barbadilloit

Giacomo Petrella

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