Focus. Se viviamo in pieno nel capitalismo della sorveglianza

Il nuovo paradigma ha oggettivato quella che pareva essere una mera speculazione filosofica di fine millennio: l’uomo merce

Un sorvegliante nella serie coreana Squid Game

Il libro di Shoshana Zuboff, Il Capitalismo della Sorveglianza è, per i ritmi attuali dell’editoria, un libro ormai datato. Uscito nel 2019 negli Stati Uniti è giunto ormai alla quarta ristampa. Lo consideriamo un buon lavoro, la prima vera sistematizzazione sociologica del rapporto fra capitalismo e tecnologia digitale. Una pietra miliare? Forse. Di certo un punto da cui partire se si vuole fare davvero politica.

Siamo così categorico nel giudizio perché riteniamo stupido ostinarsi a non vedere la realtà: chi ancora oggi utilizza preoccupazioni e speranze sulla Quarta Rivoluzione Industriale, su Transumanesimo e Crediti Sociali vari, non si è reso conto di essere clamorosamente fuori tempo massimo. La cosa è fatta. Ed ha delle conseguenze filosofiche, politiche e sociali di portata incommensurabile.

Da Alain de Benoist a Costanzo Preve

Il saggio “Il capitalismo della sorveglianza”

Chi ha avuto una formazione comunitarista può avere le chiavi di lettura adeguate a comprendere la trasformazione già avvenuta. Chi ha letto Alain de Benoist da destra, chi ha letto Costanzo Preve da sinistra, vede quello che sta succedendo; il capitalismo della sorveglianza ha oggettivato quella che pareva essere una mera speculazione filosofica di fine millennio: l’uomo merce. Attenzione non l’uomo ad una sola dimensione di Marcuse, la cui borghese coscienza infelice ancora gli permetteva slanci di rottura. Parliamo dell’uomo realmente, ontologicamente, ridotto a merce.

Quando Costanzo Preve in modo straordinario parlava di capitalismo senza classi sociali, o quando Alain de Benoist annunciava nietzscheanamente la fine delle identità, entrambi altro non osservavano che noi, che la nostra società del Qr-code, del controllo totalitario del potere sul cittadino logisticamente inteso come una merce ed in tal senso organizzato e solo in tal senso legittimato.

Un mondo orribile, direte voi. Al quale però nessuno si è saputo opporre. Non la Destra, che ha continuato a vedere nel termine “comunitario” un sinonimo di “nazione”, appoggiando nei fatti i chierici tricolori del capitalismo; non la Sinistra, che ha continuato ad assimilare il “comunitario” con l’egualitario, preferendo alla tensione critica marxiana l’incivile coscienza borghese del positivismo illuminista.

Insomma se oggi Junger fosse vivo si rimangerebbe gran parte delle sue opere mature, riscriverebbe l’Operaio, forse lo chiamerebbe Il Connesso, e chiamerebbe l’umanità ad una nuova Mobilitazione Totale anticapitalista.

La Mobilitazione che manca

Ecco quello che manca è questa Mobilitazione. Che non potrà avvenire guardando alle nostalgie del positivismo razzista od al marxismo da laboratorio del compagno Marco Rizzo, il cui differenziale parrebbe essere la sola provenienza e bandierina di un vaccino (in questo settore i compagni hanno sempre capito poco). Né, lo diciamo con affetto, potrà scatenarsi dal mito della Costituzione del ’48 come vorrebbero Fusaro ed altri lodevoli gruppi minori. Quel che è caduto, resta caduto. Il superato è superato. Ci manca solo la nostalgia per quella Democrazia che si è rivelata così debole difronte all’avanzata del neoliberismo.

Marx&Sorel

Insomma, quello che manca è quel partito nazional-bolscevico che sappia mantenere di Marx la spinta soreliana alla rivoluzione, alla prassi, al disvelamento dei meccanismi monetari e propagandistici del capitalismo; e che di Platone (e per Platone s’intenda la grecità tutta) sappia vivificare il rapporto dialogico fra Stato e Cittadino, il metron, il giusto mezzo, quel Bene Comune fra libero individuo e Stato che la pagliacciata della “democrazia diretta” dei 5 Stelle ha ridotto oggi a barzelletta.

Rifondate miti, rifondate città. Trovate quello che manca.

@barbadilloit

Giacomo Petrella

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