Perché resta attuale il “De Monarchia” di Dante

Il testo dantesco rivela, soprattutto a chi lo esamini alla luce dei principi senza tempo della Tradizione, la sua valenza metapolitica e, dunque, mondato dalle contingenze storiche che ne accompagnarono la nascita, mostra la sua sostanziale attualità in un momento di crisi profonda nel quale il nostro futuro appare incerto e velato da ombre minacciose

Dante politico

Tra le opere composte da Dante Alighieri la Monarchia, o De Monarchia come viene tralatiziamente indicata, costituisce un trattato politico in tre libri risalente agli ultimi anni di vita del genio fiorentino con il quale egli intervenne per sostenere l’origine divina e diretta del potere imperiale contro le pretese papali che riconoscevano all’imperatore una semplice potestas indirecta in temporalibus. Papa Bonifacio VIII appena qualche anno prima della stesura dell’opera dantesca aveva ribadito la tesi pontificia con la bolla Unam Sanctam mentre Dante, da buon ghibellino, aveva sposato, con alcuni temperamenti formali, la “teoria dei due soli”, formulata sul finire del V secolo d.C dal Pontefice Gelasio I in una lettera all’imperatore d’Oriente Anastasio e l’aveva difesa, con dovizia di argomenti ricavati in massima parte dall’ autorità delle Sacre Scritture , nel terzo libro del suo trattato giungendo alla conclusione che “ la facoltà di conferire il potere nella sfera temporale è contraria alla natura della Chiesa”(III,XIV,9).

Impero e Chiesa Cattolica

Una lettura superficiale del testo dantesco può trasmettere al lettore l’impressione di trovarsi in presenza di un lavoro inevitabilmente datato, destinato agli specialisti del pensiero politico medievale alla stregua della cospicua messe di scritti che nel corso del medioevo sostennero, nella lunga disputa per la supremazia che coinvolse il papato e l’impero, le ragioni dell’una o dell’altra istituzione o, al massimo dinanzi ad un testo certamente fondamentale per ricostruire il pensiero politico dantesco ma, in sostanza, privo di attualità. 

Indubbiamente dall’epoca di Dante ai nostri giorni sono avvenute radicali trasformazioni storiche: da una parte uno dei due soggetti della disputa, il potere imperiale, entrato in crisi già nella fase conclusiva del medioevo con la nascita degli stati nazionali, l’opposizione della Chiesa e dei Comuni, dopo un lungo ed inarrestabile declino, ha cessato, definitivamente, di esistere agl’inizi del secolo scorso con la scomparsa degli ultimi imperi della storia che potessero definirsi tali ossia l’impero austro-ungarico, quello ottomano, quello russo e quello cinese;  dall’altra la stessa Chiesa Cattolica, di cui il Papato rappresenta l’istituzione apicale, dopo aver perso la sua unità  con la riforma protestante e, successivamente, ogni potere temporale con la nascita dello stato italiano, oggi combatte per sopravvivere, preservando  la propria natura e  missione, all’interno di una società secolare che ha sostituito il verbo cristiano con quello scientista e relativista mentre le chiese sono sempre più vuote e le stupende cattedrali medievali, un tempo simbolo della potenza della fede, vengono trasformate da luoghi di culto a complessi museali destinati  ad accogliere orde di visitatori distratti provenienti dall’orbe globalizzato.

Alla luce della Tradizione

Tuttavia ad una lettura più attenta il testo dantesco rivela, soprattutto a chi lo esamini alla luce dei principi senza tempo della Tradizione, la sua valenza metapolitica e, dunque, mondato dalle contingenze storiche che ne accompagnarono la nascita, mostra la sua sostanziale attualità in un momento di crisi profonda nel quale il nostro futuro appare incerto e velato da ombre minacciose.

Intanto uno degli elementi fondativi sui quali è costruita l’intera opera dantesca è la visione che -adattando al pensiero del sommo poeta un concetto caro al teologo Raimon Panikkar, come propone Gianni Vacchelli nella sua bella “iniziazione” a Dante – potremmo definire cosmoteandrica in quanto articola, in una prospettiva trinitaria, teologia, cosmologia ed antropologia.  Secondo questa visione tradizionale della quale Dante si fa portavoce, e che ben conosciamo attraverso la Divina Commedia, l’uomo non è nato dal caso né viene, inspiegabilmente, gettato in una esistenza priva di senso che ha come unico traguardo la morte, ma è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza come elemento centrale di un cosmo ordinato all’interno del quale, usando della libertà che è elemento essenziale del suo essere persona, egli attraversa l’esistenza terrena per ricongiungersi al termine di essa con il suo Creatore. 

Il potere politico e quello spirituale hanno il compito di aiutarlo in questo transito, più o meno breve, risvegliando, innanzitutto, in lui la consapevolezza delle sue origini ultraterrene e guidandolo verso la meta finale. In particolare secondo Dante “la Monarchia temporale che si definisce come Impero, è il principato unico ed esteso su tutti gli uomini nella loro durata terrena ovverosia nel campo e sulle questioni che hanno una dimensione terrena” (I,II,2). 

L’azione dei due poteri necessita, pertanto, di un’investitura superiore che trae la sua legittimazione dall’alto, da Dio stesso, e deve ispirarsi a principi e comportamenti di origine sacra e trascendente che sono stati oggetto di rivelazione attraverso le scritture ma, in ossequio all’analogia entis che modella l’universo, nello stesso tempo sono presenti anche nella configurazione creaturale dell’uomo e della natura. 

La legittimazione dall’alto permane in capo ai rappresentanti dei due poteri nella misura in cui essi si conformano ai principi sacri così stabiliti per adempiere alla missione spirituale e metapolitica che è stata loro affidata: l’impero è, secondo Dante, proprio in virtù della sua struttura costitutiva nella quale il potere è concepito come missio e servitium, la forma politica in grado di garantire questa rispondenza assicurando ai suoi governati pace, giustizia e felicità. Al riguardo il sommo poeta si esprime in questi termini “…il genere umano è più felicemente ordinato quando è regolato, quanto ai suoi moti e ai suoi motori, da un unico principe che agisce come motore unico e secondo un’unica legge in funzione di un unico moto…Perciò appare indispensabile alla felicità terrena la presenza di una Monarchia, o di quel principato unico che si chiama Impero” (I,IX,2-3).

Nostalgia dell’Impero

Dopo aver conosciuto nel secolo scorso i disastri dei nazionalismi e la perdurante crisi della democrazia parlamentare sempre più in balia di un potere economico che non conosce limiti nella ricerca del profitto, oggi, anche a fronte dell’emergenza migratoria e degli eccessi sovranisti, si torna a guardare con interesse e un po’ di nostalgia agl’imperi del passato che erano in grado di assicurare la pacifica convivenza di etnie differenti per storia, lingua e religione: significativamente uno studioso autorevole come Remì Brague, difronte al rischio concreto di un fallimento dell’idea di Europa e del definitivo tramonto dell’occidente ha proposto come possibile esempio da imitare la “voie romaine”, il modello imperiale romano contaminato e fecondato dal cristianesimo, la cui caratteristica è rappresentata, secondo lo studioso francese, dalla “secondarietà” ossia dalla capacità di accogliere in una vera e propria ecumene le culture precedenti o, comunque, altre pur conservando una propria identità. Nel presentare la sua suggestiva tesi Brague fa riferimento a Dante che nel II libro del De Monarchia tratta della missione universale dell’impero romano. 

La proposta di Brague pone, naturalmente, una serie di problemi e nodi da affrontare tra i quali quello d’individuare una forma d’investitura per un governo neo imperiale in grado di contemperare partecipazione popolare e sacralità della funzione e degli scopi: anche in questo caso si potrebbe attingere all’esperienza romano-cristiana con opportune modifiche ed integrazioni per adattarla al presente.

Infine, rimangono impresse le parole con le quali Dante, nell’incipit del De Monarchia, indica la ragione principale che lo ha spinto a scrivere il suo trattato: ogni intellettuale che si rispetti deve impiegare i propri talenti nella scrittura di opere significative a vantaggio delle generazioni future. 

E’possibile interpretare estensivamente il messaggio dantesco come un appello di grande attualità alla responsabilità del sapere in un momento storico come quello presente nel quale assistiamo sempre più spesso ad un nuovo “tradimento dei chierici” davanti alle insidie del pensiero unico.

 1) Gianni Vacchelli, L’ “Attualità” dell’esperienza di Dante. Un’iniziazione alla Commedia, Mimesis,2014, pp.369; di Vacchelli si veda anche il più recente “Dante e la selva oscura”, Lemma Press, 2018, pp.179

2) Rémi Brague, Il futuro dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa, Bompiani,2016, pp.225

*La traduzione italiana del testo dantesco è tratta  dal sito internet Dante Online

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Roberto Russano 

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