Buio a mezzogiorno come metafora dei guai delle utopie

Perché rileggere “Buio a mezzogiorno” di Arthur Koestler

Rubasciov: “Nessuno può governare senza colpe.” Lui è l’ex commissario politico staliniano caduto in disgrazia. È anche il protagonista di “Buio a mezzogiorno” di Arthur Koestler che essendo stato militante del Komintern, ravveduto, è un testimone eccellente di quell’allucinante viaggio nel terrore: la grande purga.

Procuratore dei processi è Vyshinsky volpe e faina.  Il suo dogma è: dammi un uomo e troverò un crimine. (Il paradosso: nel ’17 per conto del governo provvisorio poi dissolto aveva firmato l’arresto di Lenin!) Il Diavolo se lo prenderà  settantenne a New York. Non prima!

Nelle sue grinfie finiscono: Zinoviev, presidente dei Soviet di Leningrado, Kamenev, braccio destro di Lenin e vicepresidente Commissari del Popolo, Bukharin, presidente Internazionale Comunista, Radek, dirigente PCUS. Ezov, il nano sanguinario, nei 2 anni di capo NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni) vengono eseguite 680mila sentenze capitali di presunti cospiratori, compresa quella del suo predecessore Jagoda. A sua volta fucilato e sparizione sue onorificenze: nome città, stadio ecc. Trotsky, l’ultimo oppositore, è sistemato con una piccozza in Messico. Del Politburo del 1938 formato da 28 membri si salvano solo in 5 tra cui Stalin. La rivoluzione si dimostra una belva vorace che ingoia i suoi stessi artefici. 

E poi i generali ed ufficiali dell’Armata Rossa, gli scienziati e tecnici, artisti e letterati. Compresa una miscellanea di stranieri tra i quali italiani scappati dal fascismo. Con una scia di otto milioni di cittadini spulciati dalla NKVD di cui la metà finisce nei Gulag, i campi di lavoro. 

E la Nemesi c’è? Sì, ma zoppa perché i rivoluzionari fucilati pareggiano il conto con lo zar e la sua famiglia ma Stalin e i suoi accoliti?  Per loro una Nemesi cieca e puttana. 

Rubasciov quand’era libero ha fatto condannare Arlova, la sua donna, su richiesta del Partito. Pertanto, come viene arrestato, si adeguerà non avrà pietà per lui stesso. Ma in carcere comprende le ragioni della guardia bianca nella cella accanto, pensa a tutti gli occhi che ha spento. Insomma diventa un oppositore. E morirà come tale, come quelli che ha ucciso. Da buon seguace del sistema si identifica con chi lo accusa, è come se si giudicasse da solo.  

Rubasciov, come altri suoi colleghi ma esistenti, confessa colpe mai commesse. Un ultimo contributo al Partito, alla loro creatura famelica e antropofaga. Capace di divorare anche i sogni. Cadono martiri, difendono la fede come i cristiani. Si offrono in sacrificio e così salvano il loro passato.

I frutti di questo sisma sociale, di questa immane ecatombe? Il socialismo in un paese unico, la fondazione di un nuovo impero.  E per salvare la rivoluzione tutto è permesso. Opprimere in nome della liberazione dell’avvenire, pretendere dagli uomini sacrifici maggiori di prima. Fare affarucci con i governi reazionari. Ricordo i minatori delle Asturie in sciopero e Stalin mandò il carbone alla Spagna di Franco in barba ai dettami dell’internazionalismo, destando l’ira di Sartre. 

Il peccato d’origine? Illuminati gli anarchici in proposito. Bakunin: “il dispotismo degli intellettuali avrebbe generato una nuova classe sfruttatrice: la burocrazia rossa. Una aristocrazia ristretta. Che bella liberazione!”

E Machajski: “gli intellettuali hanno un capitale occulto, il possesso del sapere, e colonizzeranno gli sfruttati per la loro ascesa.  La rivoluzione socialista si concluderà con la soppressione del dominio degli have sugli have-not e l’instaurazione dei know sui know-not.” Ahimè profezie inascoltate.

E Bruno Rizzi nel 1939: “in Russia la proprietà non è borghese né proletaria ma neanche socialista. Appartiene alla burocrazia statale che estorce il plusvalore ai lavoratori. Il collettivismo burocratico è una schiavitù di stato.” E una nuova classe per imporsi deve ricorrere alla violenza o economica o da macelleria.

Malgrado queste ipotesi maledettamente veraci uno sciame di lucciole attirate da quella luce accecante e di abbaglio. Il potere al proletariato, non ci saranno più sfruttati. Una miriade di intellettuali, professori, aderisce. Allettati, sedotti dalle lusinghe teoriche. E c’è anche Gramsci. Nel suo “tutto è politica” e nel mito del suo moderno principe, il Partito, c’è la premessa, il germe, di uno stato totalitario. 

Gianfranco andorno 

Gianfranco Andorno

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