Ignazio Silone, il don Chisciotte dei cafoni

Il ritratto dello scrittore di Fontamara

Ignazio Silone

Il 13 Gennaio del 1915 un violento terremoto, un sisma magnitudo 7.0, scuote e distrugge Avezzano. Restano in piedi pochi muri e ci sono migliaia di morti. Di Gravio: “… il cuore del Fucino cessò di battere. La morte sghignazzò per lunghe ore.” Tra le vittime la famiglia Tranquilli. Muore la madre con diversi figli, si salvano solo Secondo e il fratellino Romolo.  

Nei percorsi susseguenti di collegi e scuole, poche queste, anche di Seminario il presbitero Don Orione sarà il provvidenziale mentore degli orfani. Li seguirà sempre, cercherà di proteggerli. Secondino Tranquilli prenderà il nome di Ignazio Silone da un antico comandante dei Socii Italici che guerreggiava con Roma.

La Màrsica, entroterra dell’Abruzzo, è la terra dei cafoni. Silone rivendica per loro i diritti a un’esistenza non misera e invoca libertà dai soprusi dei potenti. A 17 anni partecipa alle lotte della Lega dei Contadini. Per lui o sei “complice o ribelle”. Non esistono ambigue vie di mezzo. 

Nel suo cammino politico e nei suoi libri denuncia l’oppressione sociale, l’ingiustizia nella quale vivono i suoi cafoni che sembra portare in sé, incisi nell’animo. È il loro fiero paladino e ne descrive la profonda miseria. Ricorda che le donne si sporcavano di carbonella i seni affinché i poppanti smettessero presto di succhiare. 

Nel 1921 a Livorno cede alle lusinghe delle sirene russe, imbellettate dalla rivoluzione ancora fumante, abbandona i socialisti e fonda il Partito Comunista. Le adescatrici moscovite sono venute a sobillare, a favorire la divisione. Si recherà a Mosca, ritornato collaborerà a giornali tra cui “Il Lavoratore” a Trieste. Qui vivrà con la sua compagna Gabriella Seidenfeld, un’ebrea ungherese.

Interessante il suo studio nel 1927 “Stato Operaio” sulla base sociale del PNF: il 75 per cento piccoli borghesi, 15 per cento contadini e operai e il resto borghesia ricca. E sua l’intuizione: “il fascismo non è un esercito nemico accampato in terra d’occupazione è un fenomeno sociale strettamente aderente alla struttura economica italiana.” 

Nel 1931 per un pasticcio di lettere vere e non, riportate in maniera subdola, viene espulso dal partito. Non sono previste e accettate le dimissioni. Lui lo considera grave lutto: lo apprende nel sanatorio svizzero di Davos, dove si trova per curare la tisi.  Si vuol punire la sua dissidenza contro la linea stalinista, propugnata da Togliatti e avversata da Gramsci. Silone, con lucidità, ha previsto la svolta dittatoriale di Stalin e le purghe. 

Subito i rimbrotti sono lievi: non è un traditore, è un anormale politico, un intellettuale rammollito. Inghippo, espediente, in parte orchestrato, senza colpa, da Togliatti che però detesta, disprezza i signorini letterati. Che ci fanno in un partito rivoluzionario? Acrimonia che manterrà per tutta la vita. Le giustificazioni successive di Togliatti.  “Il partito operaio non è un ordine di monaci ma una organizzazione di combattimento. Vi è in esso il bene ed il male.” 

Poi arrivano secchiate di fango dagli ex compagni di fede. Viene rimproverato di mostrarsi remissivo con il fascismo per aiutare il fratello. Critiche che al momento appaiono nebulose, senza fondamento. Che è accaduto al fratello?

Il 12 aprile del 1928 una bomba viene fatta esplodere alla Fiera di Milano per colpire il re, lo scoppio avviene prima e provoca una ventina di morti. Tra i presunti attentatori viene arrestato Romolo Tranquilli. L’imputazione verrà derubricata ma lui finirà egualmente a Procida in gravi condizioni.  

Dal 1929 Silone risiede in Svizzera e qui scrive il suo capolavoro “Fontamara”: ai cafoni viene rubata con inganno l’acqua che serve per i campi. È il libro con il quale sfiora il Nobel. Nei suoi romanzi rinuncia allo “bello scrivere” per rendere meglio le passioni. Come Steinbeck in “Furore”. Anche là pellegrini disperati ma emigranti mentre qui stanziali, incredibilmente avviticchiati alla loro terra d’origine seppure magra e matrigna. Con gli anni nei suoi scritti il comunismo viene sostituito da un umanitarismo cristiano. Elabora un terzo fronte e promuove la disobbedienza civile, quale vecchia e nuova arma non violenta. Le ragioni del suo dissidio politico le esprimerà in “Uscita di sicurezza” non premiato perché “non si può offendere la memoria di Togliatti”.

Dopo la guerra rientra in Italia, è inserito nel Partito Socialista e diventa direttore de l’”Avanti!” È contrario alle epurazioni, invita a “Superare l’antifascismo” e sostiene il progetto di una Europa unita. Combatte il fascismo rosso. È sotterrato da una valanga di premi, riconoscimenti, lauree ad honorem, onorificenze.

Infine la vicenda grottesca che lo staccherà definitivamente dalla politica. Saragat lo convince a presentarsi per il suo PSDI alle elezioni. E viene trombato dai suoi concittadini, a Pescina, da quei paesani che ha tanto celebrato e beatificato nelle sue opere. 

Negli anni 90 lo storico Dario Biocca ha trovato documenti che comproverebbero Silone informatore dell’Ovra, la polizia fascista, suscitando aspra polemica. Delazioni ben dettagliate, succose. Pseudomino Silvestri, fiduciario T. con il compenso delle famigerate cinquemila lire. 

Occorre esaminare a fondo le situazioni, le circostanze. Cauti nell’essere giudici severi e condannare.  Ma cosa diciamo a quelli torturati con le scosse elettriche, delle unghie strappate, che hanno resistito, non hanno confessato di qualsiasi fronte?

Chi era l’informatore 73? Una selva di innocentisti: scambio di persona o falso creato dai fascisti per screditare. Tra questi il prof. Bobbio che a sua volta si è dimenticato della sua lettera a Vostra Eccellenza Mussolini. Boh!

Il 22 agosto 1978 Silone muore in una clinica di Ginevra, accanto a lui la moglie Darina Laracy. Ma Il suo cuore è lontano, è rimasto là, nel chiarore di quell’alba infausta. Estraggono dalle macerie la madre morta e lui sente che gli parla, allora e adesso. Il suo sguardo abbraccia quella terra tanto amata dove porteranno le sue ceneri  e ogni faggio è un cafone ritto. Con la schiena ben sollevata, quasi in sfida. Il cafone è uomo.

gianfranco.andorno

Gianfranco Andorno

Gianfranco Andorno su Barbadillo.it

Exit mobile version