Il punto (di G.deTurris). Se il Front National vince (anche) per il gramscismo di de Benoist

front_nationalLe elezioni regionali francesi al ballottaggio hanno decretato la sconfitta politica del Fronte Nazionale, ma anche la sua vittoria culturale. E’ un paradosso solo apparente su cui sono stati d’accordo i maggiori commentatori italiani, anche se a denti stretti.

Le parole d’ordine, gli slogan, le idee forti di cui si discute oggi in Francia sono state imposte dal partito di Marine Le Pen. E dietro ad esse in fondo c’è quel che da quarant’anni propaganda Alain de Benoist, il fondatore delle Nouvelle Droite. Il vincitore è stato anche lui che raccoglie quanto da decenni sta seminando a piene mai con la sua instancabile, pervicace attività che non si fermata di fronte a nessun ostacolo personale e ostracismo  professionale. E sono idee che si basano sul concetto generale di metapolitica e sulla strategia della egemonia culturale, mutuata da Gramsci. Appunto. E’ quel che cercò di fare dagli anni Ottanta la Nuova Destra italiana capeggiata da Marco Tarchi, inascoltata dai politici nonostante il seguito giovanile che aveva e in parte suicidasi per diatribe e scissioni interne. Inutile negarlo. Purtroppo una occasione perduta e non più recuperabile.

Alain de Benoist

Comunque sia, la situazione della Destra francese e l’essere riuscita a imporre le sue idee-forza sul piano culturale, in modo che ne parlino tutti, anche a sinistra, e che molti filosofi e intellettuali di sinistra si dicano (anche solo indirettamente) d’accordo ritrovandosi oggettivamente sulle sue posizioni, ci deve far riflettere, considerando la situazione italiana. Roba da piangere e da mettersi le mani nei capelli (per chi ce li ha).

Mentre in Francia i rappresentanti culturali della Destra sono invitati a parlare in televisione o nei convegni, o scrivono le loro analisi su giornali importanti, da noi è il deserto più assoluto. Le firme di destra sono praticamente scomparse sulla grande stampa d’opinione o si occupano di argomenti non culturali o politici, e se per caso fanno conferenze o sono presenti in convegni la Sinistra (mosche cocchiere Sel, Anpi e “centri sociali”) s’indigna e si oppone in nome di un presunto antifascismo. E’ questo ormai l’unico collante e punto di riferimento che le è rimasto, in quanto sul piano delle idee non ha più assolutamente nulla da dire, proporre, discutere.

La Destra politica italiana ha sprecato venti anni nei quali culturalmente non ha costruito nulla,  nulla ha cambiato, nulla ha lasciato dietro di sé (caso emblematico la Regione Lombardia guidata guidata per quattro lustri da Formigoni, tanto per dirne una). L’egemonia gramsciana su questo piano ha condotto quasi senza accorgersene la Francia ad accettare le idee della sua Destra, mentre qui da noi non si è ottenuto nulla perché la cultura è stata snobbata e oggi le cose vanno assai peggio di prima. La Destra da questo punto di vista è tornata insignificante per mancanza di volontà e di mezzi.

Chi invece ha capito tutto è il baldo boy scout che siede a Palazzo Chigi il quale, forte della maggiorana in Parlamento e di una faccia tosta fuori dal comune, si muove come un rullo compressore, mette in campo una riforma dietro l’altra, piazza senza colpo ferire i suoi fedelissimi dappertutto e specialmente nella informazione, dai giornali, alla Rai, alle agenzie di informazione, non tralasciando nulla nel silenzio pressoché assoluto di chi avrebbe fatto fuoco e fiamme e decretato scioperi generali se le stesso cose le avesse fatte il centrodestra. Una strategia pianificata  a tavolino con la sua squadra e i suoi consiglieri ufficiali e privati. Lui sì che ha capito tutto, mentre il Cavaliere, che gli americani definivano mass media tycoon (sic!), è rimasto con le pive nel sacco pur avendo avuto la maggioranza in Parlamento nel 2008. E adesso ne vedono le conseguenze. Con chi ce la dobbiamo prendere?

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Gianfranco de Turris

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