Fu l’ultima a partire, e attraversò boschi e risalì sentieri, prima di raggiungere gli altri. Poi, finalmente, furono tutti nuovamente assieme, e seppero che non mancava nessuno. Nessuno era rimasto indietro a ricordare. Così quella loro gita poteva essere dimenticata per sempre». Non c’è più molto spazio o sopportazione per la gita scolastica, a corto, cortissimo raggio, basso, bassissimo costo. La gita scolastica è percepita come una lussuosa gabella, un rito fittizio che aggrava scarni bilanci familiari, protesi al mettere insieme il pranzo con la cena. Quel che era vanto di certi comprensori scolastici diventa impaccio inutile, anni luce lontani dalla seppur minima parvenza di viaggio culturale e di formazione. Sarà che partivamo a primavera, beatamente ignoranti su ciò che avremmo visitato, al contrario, interessatissimi a piazzarci in sedili strategici di pullmini e autobus. A contare l’emozione, il rossore, l’adrenalina, l’arcigno professore di lettere che inciampava in un gradino, la professoressa in abito da gran soiree, puntualmente, corteggiata dal professore di educazione fisica. Un clima diverso. Fosse solo per scambiarsi caramelle e pareri calcistici e sul quale, per la verità, le parole addio, tagli, ridimensionamento, budget contenuto più che bloccare l’idea stessa del viaggio scolastico e non rischiano di far dimenticare che la gita scolastica resta una delle poche chanche di presa di contatto con le cose del mondo. Al netto di pullman stratosferici, con l’aria condizionata a palla e il televisore perennemente acceso che si riflette nei reticoli visivi di tablet e smartphone. Attraversare una meta non significa raggiungerla, al pari del deambulare fantasmatico rispetto al potersi perdere in un contesto inedito. Rischiando il cazziatone perché ci si presenta in ritardo alla partenza.